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Nella corte orgiastica di Lui

Non è possibile parlare della prima parte del nuovo film di Paolo Sorrentino a caldo e, soprattutto, senza aver visto la seconda Loro 2 che uscirà al cinema il 10 maggio. Cominciamo con Loro 1, dove Loro è la corte di Lui aka Silvio Berlusconi e iniziamo col dire che dalla visione di questi primi 100 minuti si esce frastornati, indignati, stanchi, con voglia di litigare con qualcuno e anche un po’ schifati. Certo, perché prima di arrivare al volto gommoso e truccato di Toni Servillo che si muove allegramente nella sua villa in Sardegna, ascoltando e deridendo la colta saggezza dell'(ex) moglie Veronica Lario (perfetta l’attrice Elena Sofia Ricci), bisogna attraversare un purgatorio orgiastico di ragazze che mercificano il proprio corpo per toccare con mano un’idea di potere, scambi di denaro, corruzione, sesso, voyeurismo, machismo e molto squallore.

Passata la frustrazione di essere stati presi in ostaggio da scene convulse, umilianti, esplicite e talvolta pornografiche, prive di una traccia narrativa e che senza dubbio presuppongono uno sforzo e una visionarietà registica non da poco e che Paolo Sorrentino ha dimostrato più volte di possedere, ci si può abbandonare serenamente a un tentativo di lettura di ciò che si è visto.

Quelle immagini portano con sé vent’anni di non politica, di una deriva culturale irreversibile dalla quale non ci siamo ancora liberati, di decadenza intellettuale di un Paese affondato nell’individualismo, nella corsa all’oro (Loro -suggerisce Sorrentino- si può leggere anche L’Oro), nell’indifferenza e che oggi si traduce con il ritorno di un becero razzismo e delle destre.

<<Attraverso una composita costellazione di personaggi, Loro ambisce a tratteggiare, per squarci o intuizioni, un momento storico definitivamente chiuso che, in una visione molto sintetica delle cose, potrebbe definirsi amorale, decadente, ma straordinariamente vitale.>> Ha scritto Sorrentino nelle sue note di regia.

Portare al cinema concetti simili è più complicato che scriverlo. Lo aveva fatto Nanni Moretti con Il Caimano, in modo chiaro ed efficace, in una fase ancora calda del Berlusconismo. Era il 2006, poco prima della fine del suo governo. E con quel finale tra fiamme e macerie Moretti ci aveva visto lungo. Il film di Paolo Sorrentino nasce in un momento in cui l’uomo Berlusconi si pensava finito e messo da parte, tant’è che molti si chiedevano che senso avesse parlare ancora di lui. E invece Loro arriva al cinema con un tempismo che ne smentisce il tramonto.

<<E Loro ambisce altresì a raccontare alcuni italiani, nuovi e antichi al contempo. Anime di un purgatorio immaginario e moderno che stabiliscono, sulla base di spinte eterogenee quali ambizione, ammirazione, innamoramento, interesse, tornaconto personale, di provare a ruotare intorno a una sorta di paradiso in carne e ossa: un uomo di nome Silvio Berlusconi – prosegue Sorrentino – Questi italiani, ai miei occhi, contengono una contraddizione: sono prevedibili ma indecifrabili. Una contraddizione che è un mistero. Un mistero nostrano di cui il film prova a occuparsi, senza emettere giudizi, mosso solo da una volontà di comprendere.>>

Come molti hanno suggerito, il film poteva essere condensato in uno solo, come gli aveva chiesto Thierry Fremeaux, direttore del Festival di Cannes, per invitarlo Fuori Concorso, ma il regista al momento ha declinato l’invito.

Probabilmente dopo Young Pope il regista ha voluto provare a “serializzare” un lungometraggio. Come era stato per La meglio gioventù, Il Che o Carlos. Per citare dei precedenti.

Ci vuole un certo coraggio per affrontare tutto questo, sapendo di correre il rischio di dividere il pubblico, di far arrabbiare molta gente, producendosi da soli nonostante un Oscar per La grande bellezza, il Premio della Giuria di Cannes per Il Divo e numerosi riconoscimenti internazionali. Dovuti anche alla efficace fotografia di Luca Bigazzi, che in Loro1 adegua il contrasto di luci e ombre, in base alle esigenze narrative.

E a Sorrentino, che piaccia o meno, bisogna riconoscere la capacità di aver creato uno stile che prima in Italia, e anche a livello internazionale, non c’era. Non a caso è molto criticato, eppure porta la gente in sala. Il cinema è, dovrebbe essere, arte e Sorrentino quello fa. Film come Il Divo come L’uomo un più, Le conseguenze dell’amore, Youth, La grande bellezza, sono stati amati e odiati. Bello quando il cinema arriva a questo, significa che funziona. Sorrentino, ha sempre rischiato sulla sua pelle, ha vinto un Oscar e Loro1 è andato in vetta agli incassi nei primi giorni d’uscita.

Quindi un consiglio: aspettatiamo la seconda parte e valutiamolo nella sua complessità, considerando che in Italia un operazione così, totalmente autoprodotta, con il rischio di attirare insulti e dibattiti accesi è una rarità. È apprezzabile il fatto che Paolo Sorrentino, potendoselo permettere, abbia rischiato. Il coraggio in Italia non ha più nessun valore, ben venga che ci sia qualcuno che vada ancora in quella direzione.

In ogni caso, tornando al Festival di Cannes, è quasi certo che il rifiuto di ospitarlo nella sua interezza abbia a che vedere con l’esasperazione di quella prima parte insistente e ossessiva, che mortifica e umilia l’immagine femminile, fino a renderla merce non esportabile.

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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