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India: la resistenza dei rifugiati ambientali

Sono 17 nuovi metri a minacciare migliaia di persone lungo il fiume Narmada, in India. Sono quelli che il governo vuole innalzare della già faraonica diga Sardar Sarovar, che conta oltre 2.200 sbarramenti.

Passando da 122 metri a 139 metri, la diga aumenta così l’estensione delle terre agricole sommerse e il numero degli sfollati. Un dramma dagli effetti collaterali che ha colpito milioni di persone e che ricadrà su tutte le future generazioni. Sin dall’inizio dei lavori, negli anni Ottanta, una delle più grandi opere idroelettriche del mondo, era stata definita dal governo di New Delhi “indispensabile per la crescita e lo sviluppo”.

La diga di Sardar Sarovar è la più grande di tutto il progetto: taglia il fiume Narmada appena entrato nel territorio del Gujarat, formando un lago artificiale nello stato a monte, il Madhya Pradesh, e per una piccola parte nel terzo stato sulla riva, il Maharashtra.

Centinaia di villaggi sono stati sommersi dalle acque, e fino a mezzo milione di persone sono stati costretti a fuggire. È proprio attorno al Sardar Sarovar che è nata la lotta di resistenza: il Movimento per la salvezza della valle di Narmada. Dagli anni Ottanta, si batte perché gli sfollati ricevano terra coltivabile dove risistemarsi: ‟terra in cambio di terra”, e non solo qualche manciata di soldi di risarcimento.

Perché il dramma occulto di queste grandi opere è poi il meccanismo delle “peregrinazioni” forzate delle popolazioni più vulnerabili. In India in particolare ad essere investiti da questo progetto, praticamente per l’80 per cento, sono per lo più adivasi, i nativi dell’India o i dalit, considerati nella religione hindù i fuoricasta, gli “intoccabili”.

Queste popolazioni che vivevano nelle zone rurali, di fronte al crescere delle acque si sono riversate nelle baraccopoli delle grandi città. Senza aiuti da parte del governo e soprattutto all’interno di un tessuto sociale completamente disgregato.

Questi “rifugiati ambientali” sono l’evidenza più lampante dell’ingiustizia di tutta l’operazione. Sloggiati in nome del moderno progresso, di quel progresso non hanno visto nulla: né scuole, né ospedali, strade, acqua potabile.

Vivono nelle bidonville con il rischio di essere di nuovo colpiti dai nuovi progetti di espansione delle città. Il movimento per la salvezza della valle di Narmada non è riuscito a bloccare le costruzioni delle dighe. Ma non ha perso. Da trentacinque anni sta scrivendo un pezzo di storia collettiva di una popolazione tra le più marginali non solo dell’India, ma del mondo.

***

Effetti collaterali. Popolazione civile in pericolo è la rubrica a cura di Cristina Artoni, in onda ogni lunedì su Radio Popolare alle 9.33

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    Cristina Artoni
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    Claudio Longhi, direttore artistico del Piccolo Teatro: "Credo sia più che mai importante restituire al teatro quella funzione aggregativa"

    Claudio Longhi ha ricevuto il “Premio Nazionale Franco Enriquez per un teatro, un’arte, una letteratura e una comunicazione di impegno sociale e civile”. La motivazione del riconoscimento, attribuito a Longhi “per la direzione artistica del Piccolo Teatro di Milano”, recita così: "La Giuria del Premio Franco Enriquez, ha riconosciuto, a Claudio Longhi, all’unanimità, un coraggio encomiabile, per avere dirottato la Storia del Piccolo Teatro, Teatro d’Europa, da un Teatro di Regia, quello della linea Strehler-Ronconi, a un Teatro dalle molteplici traiettorie, non solo europee, ma internazionali, verso orizzonti capaci di abbattere ogni forma di frontiera, sempre alla ricerca di nuovi linguaggi che appartengono ai palcoscenici del mondo dando, anche, alle nuove generazioni, attraverso una oculata politica delle Residenze, la possibilità di cercarli e trovarli nel territorio italiano. [...]". A Cult, Ira Rubini ha intervistato proprio Il direttore artistico del Piccolo, Claudio Longhi.

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