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Mungiu e Dolan tra corruzione e tragedia

Sei un medico sui cinquant’anni, hai un’ottima reputazione, impeccabile per la tua onestà e capacità di empatizzare con la gente, ti conoscono tutti nella cittadina della Transilvania in cui sei cresciuto e vissuto. Tua figlia sta per diplomarsi, ha una media molto alta e la domanda per continuare gli studi in Inghilterra è gia stata accettata dall’Università. A pochi giorni dagli esami conclusivi tua figlia viene aggredita e violentata, entra in uno stato di paura e depressione e non riesce a concentrarsi per la sua prova scolastica più importante. Tu vuoi che lei vada a studiare all’estero, che si costruisca un futuro altrove, anche se lei preferirebbe restare a casa con il fidanzato e gli amici, e la nonna suggerisce di restare “perché se i migliori emigrano tutti chi cambierà questo Paese?”. Non importa, è tua figlia, è bene che vada studiare all’estero per tornare, forse, a cambiare le cose in Transilvania.

Con queste premesse Romeo, il protagonista di Baccalauréat decide di utilizzare per la prima volta nella vita il suo potere, per chiedere al preside della scuola di avere un occhio di riguardo nei confronti della figlia. Cristian Mungiu, già Palma d’Oro a Cannes nel 2007 con 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni nel suo quinto film riflette sul tema della corruzione in Romania, ormai presente in ogni azione umana e istituzionale (solo in Romania?) e si chiede se è diverso utilizzarla a fin di bene. Il fine giustifica sempre i mezzi? La risposta nel film non c’è, ogni spettatore è chiamato a trovarsela da sè. Il cinema di Mungiu è sempre pieno di domande complesse che appartengono alla quotidianità, nella sua storia in Transilvania la vita di Romeno scorre normalmente e senza enfasi intorno a questo nodo esistenziale, tra i rapporti logorati con la moglie, un nuovo amore senza futuro, la professione in ospedale e gli incontri con la figlia e con la polizia per arrestare lo stupratore. Il film è co-prodotto con Jean-Pierre e Luc Dardenne.

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Che Xavier Dolan fosse un regista di talento si sapeva già. Uno dei più precoci della storia del cinema, a 27 anni con già sei film realizzati, tutti interessanti e diversi uno dall’altro. La voglia di sperimentare e la possibilità di farlo vista la fiducia, anche economica, ottenuta in questi pochi anni è evidente anche in questo suo ultimo film in concorso al Festival di Cannes e dopo il successo stabilizzante di Mommy.

Il punto di partenza di Giusto la fine del mondo è il testo teatrale omonimo del 1990 di Jean-Luc Lagarce, che porta su di sé l’ombra nera dell’Aids, molto rappresentato in Francia e in Italia portato in scena da Luca Ronconi. Complesso e affascinante dal punto di vista del linguaggio, chiuso tra le quattro mura di un interno famigliare in cui si scatena il finimondo, con il ritorno a casa dopo dodici anni d’assenza del fratello minore, scrittore e gay. Con un cast pazzesco e diretto benissimo, Xavier Dolan prende in mano la tragedia, trasportando al cinema un movimento e una libertà, studiata su primi piani strettissimi, movimenti di macchina continui, colori sgargianti, urla, sguardi accesi, movimenti sul posto. Un trionfo di immagini in movimento, su un testo che il regista canadese ha scoperto e amato molti anni fa e portato a compimento dopo aver raggiunto la possibilità di farlo. Fondamentale l’apporto degli attori: Gaspard Ulliel, Nathalie Baye, Lea Seydoux, Vincent Cassel e Marion Cotillard, che si sono messi totalmente al servizio di questa messa in scena, certamente molto originale e diversa rispetto al lavoro più classico sul personaggio, utilizzato per il cinema e forse anche per il teatro. Dopo tante storie declinate in modo differente intorno alla famiglia e all’omosessualità, Giusto la fine del mondo è un esercizio di stile, anche imperfetto ma da cui sgorga verità e passione.

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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    1) La linea della morte. A Gaza nonostante il cessate il fuoco ogni giorno i palestinesi vengono uccisi per aver oltrepassato la linea gialla. Ma nessuno sa davvero dove si trova. (Giulio Cocchini - CESVI) 2) Netanyahu chiede la grazia al presidente Herzog. Se concessa, il premier israeliano porterebbe definitivamente a termine lo smantellamento dello stato di diritto. (Meron Rapoport - +972) 3) Guerra in Ucraina, Zelensky a Parigi cerca l’appoggio europeo nel pieno dello scandalo corruzione e delle pressioni statunitensi. (Francesco Giorgini) 4) La concretezza del cambiamento climatico. I morti per le inondazioni che hanno colpito il sud est asiatico sono più di mille e la popolazione chiede ai governi azioni più efficaci. (Alice Franchi) 5) Nessun accordo in vista. Trump parla al telefono con il leader venezuelano Maduro e gli offre un ultimatum, ma intanto chiude lo spazio aereo sopra il paese. (Alfredo Somoza) 6) Germania, migliaia di persone hanno manifestato contro la fondazione della nuova formazione giovanile di Afd. (Alessandro Ricci) 7) 70 anni fa il “no” più famoso di sempre. Il primo dicembre 1955 Rosa Parks si rifiutò di cedere il posto sul bus a un bianco, gesto simbolo della lotta degli afroamericani. (Roberto Festa)

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    “Regole a Milano” sempre più spietate: i Delta V raccontano il nuovo album

    E’ da poco uscito “In Fatti Ostili”, nuovo album della storica formazione milanese Delta V. Durante il tour promozionale del disco, Martina e Carlo sono passati a Volume per raccontarcelo e suonarci alcuni pezzi dal vivo. A legare le nuove tracce, raccontano, “è stato il senso di spaesamento” ma anche “la sensazione di vivere in un mondo sempre più ostile e rivolto unicamente a se stesso”. Nella forma di un elegante cantautorato elettronico, l’album offre una lucida fotografia della società di oggi, in cui concetti di fiducia, altruismo e speranza paiono sempre più lontani. La metafora che la band utilizza per affrontare questi temi è spesso quella della città da cui proviene: “Milano ricorda molto Dorian Grey, si specchia e si vede sempre bella e giovane ma manca sempre più di sostanza”. Ascolta l’intervista e il MiniLive dei Delta V, a cura di Dario Grande.

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    Dopo l'aggressione a tre attivisti italiani in un villaggio vicino a Gerico, abbiamo intervistato Elena Castellani, attivista di Assopace Palestina, una delle organizzazioni di sostegno della missione in interposizione non violenta nei territori occupati, che ci spiega qual è il lavoro dei volontari e il contesto nel quale si trovano. “Gli attivisti internazionali di interposizione non violenta – spiega Elena Castellani - aiutano i palestinesi in vari modi, come la sorveglianza notturna o diurna, l'accompagnamento dei bambini, dei pastori, per cercare di evitare le aggressioni dei coloni, che sono praticamente quotidiane: i palestinesi vengono feriti, malmenati, a volte anche uccisi e quando va meno peggio, i coloni distruggono le proprietà, le case, ammazzano gli animali. I coloni vengono fiancheggiati dai militari israeliani che, invece, di proteggere gli aggrediti difendono i coloni, cioè gli aggressori”. L'intervista di Alessandro Principe.

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    La Fura dels Baus, celebre compagnia catalana, torna a Milano, alla Fabbrica del Vapore con la sua nuova creazione immersiva “SONS: SER O NO SER”, ispirata all’Amleto di William Shakespeare. L’opera sarà in scena fino al 14 dicembre 2025 in un allestimento site-specific che trasformerà completamente gli spazi della Fabbrica del Vapore, offrendo al pubblico un’esperienza sensoriale e coinvolgente fuori dagli schemi, che attraversa temi contemporanei, dall'ambiente ai conflitti. Lo ha spiegato Carlus Padrissa, direttore artistico della Fura dels Baus.

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