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Milo Rau: “Le radici della violenza”

milo rau

Al Piccolo Teatro Strehler di Milano è andato da poco in scena The Repetition, del pluripremiato drammaturgo e regista contemporaneo svizzero Milo Rau. Lo spettacolo fa parte del ciclo “Histoire(s) du Théatre(!)” di cui rappresenta la prima tappa. Milo Rau è stato ospite in diretta della trasmissione culturale quotidiana “Cult” di Radio Popolare.

La sua sperimentazione performativa si concentra anche stavolta sulla violenza quotidiana, a partire da un fatto di cronaca.

Sì, è vero. The Repetition è un lavoro sulla violenza, su come la si rappresenta, e prende spunto da un fatto realmente accaduto, l’uccisione di un giovane omosessuale in Belgio, che portiamo in scena anche con attori non professionisti.

L’omicidio è avvenuto 2012?

Certo: nel 2012 un giovane belga fu ucciso nella città di Liegi, in una notte di pioggia, dopo avere intrattenuto una conversazione occasionale con i ragazzi che lo uccisero. Fu torturato per molte ore, prima di morire, e la sua vicenda è diventata uno dei più noti casi di omofobia in Belgio e in Europa.

Non è la prima volta che analizza la società belga in un suo lavoro.

Vero. Si potrebbe quasi dire che ho dedicato una trilogia al crimine in Belgio. Ho scritto un primo spettacolo sulla guerra civile, un secondo sulla pedofilia, a partire dal caso Dutroux, in cui ho lavorato con i bambini, e ora ho messo in scena questo lavoro con alcuni cittadini di Liegi, che conoscevano quella storia e che affiancano attori professionisti.

Perché è così importante avere in scena questo tipo di performer, qualcuno che “sa”?

Sono molto interessato a portare la realtà a teatro ma la cosa che più mi attrae forse è proprio il mix, la miscela che si crea in scena con una serie di testimoni ed elementi reali che entrano a far parte parte della performance. Questo è per me è molto importante.

C’è un altro elemento essenziale in questo lavoro: l’evocazione dei morti, quasi come se fossero personaggi e potessero rispondere…

Sì, assolutamente. C’è una bella frase del drammaturgo tedesco Heiner Müller che ha detto che il teatro è un dialogo con i morti. Quindi, è il modo in cui si può parlare con imorti. All’inizio dello spettacolo, un personaggio afferma  “Loro non possono risponderci, ma ci sentono”. Dunque, si tratta anche il tema della gestione del lutto, di come si ricomincia a vivere, cercando di dare un senso alla morte brutale di un ragazzo.

Lei è molto interessato alla criminolgia, alla tecnica di analisi di un crimini, vero?

Sì, è vero. Per questo il sottotitolo dello spettacolo è “Storia(e) del teatro”, ovvero la riproduzione continua di un crimine. Credo che la criminologia e il teatro, soprattutto nella ricostruzione dei fatti, siano collegati. Alla fine dello spettacolo, il quinto atto di The Repetition è una riproduzione del delitto, che dura venti minuti ed è una vera e propria ricostruzione criminologica.

Vorrei che commentasse brevemente un altro aspetto: sullo sfondo c’è una città in declino, in crisi economica, che rende tutto ancora più triste…

Certo. Non che io abbia cercato di spiegare o giustificare l’omicidio con questo pretesto, intendiamoci. Una delle ragioni per cui viene commesso è che gli assassini non si fidano della loro vittima. Non credo, infatti, che l’individuo sia in sè omofobico, ma che lo siano certe società e che da queste derivi la violenza. In qualche maniera, tutto lo spettacolo parla dell’effetto del pensiero neoliberista, attraverso questo omicidio, che si inserisce in un quadro di violenza più ampio.

Spesso, in questi casi, ci chiediamo chi debba punire i colpevoli e in che modo.

Nel caso del Belgio, che è uno stato di diritto, il sistema giudiziario li ha condannati a lunghe pene detentive. Ho incontrato uno dei colpevoli in prigione. Credo che questa sia la sola punizione possibile e sono convinto che sia giusto così.

Il tema è importante, perché mette in discussione anche il pubblico…

Credo che si metta in discussione soprattutto il motivo di un crimine che appare del tutto insensato. Come si può dare un senso a un omicidio così brutale? Cosa significa e come possiamo andare avanti dopo averlo visto e ricostruito? Dove si può trovare una scintilla di speranza nella morte? Ecco perché nel sesto atto abbiamo introdotto l’interrogativo su cosa fare insieme, su come ricostruire qualcosa con la solidarietà.

Foto | Facebook

Qui trovi il link per ascoltare il podcast della trasmissione Cult del 7 Maggio.

  • Autore articolo
    Ira Rubini
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    L’educazione sessuale a scuola si farà solo con il consenso dei genitori degli studenti minorenni, sia alle medie sia alle superiori. Alla Camera ieri è arrivato il via libera agli emendamenti al ddl Valditara tra le proteste delle opposizioni. È stato respinto anche un emendamento che prevedeva di togliere il consenso dei genitori in caso il corso fosse organizzato dalle Asl, quindi non da associazioni ma dal servizio sanitario nazionale. Intanto, prosegue l’indagine della procura di Roma "lista degli stupri” comparsa nei giorni scorsi nei bagni del liceo romano Giulio Cesare. Al momento il reato ipotizzato è istigazione a delinquere finalizzata alla violenza sessuale. Andrea, una delle studentesse del Giulio Cesare il cui nome era presente nella lista, al microfono di Mattia Guastafierro, ci racconta qual è il clima a scuola: “Ci sono stati dei precedenti, sicuramente non così gravi: stati bruciati dei cartelloni contro la violenza sulle donne nel bagno dei maschi, sono state strappate delle petizioni messe in bacheca per sensibilizzare alla violenza di genere. Purtroppo ci sono persone che hanno avuto un'educazione familiare estremamente poco consapevole di certe cose e purtroppo questa è la prova che un argomento così terribile come lo stupro possa essere utilizzato con leggerezza e, anzi, scritto su un muro di un bagno”. Inoltre, Andrea riconosce l'importanza dell'educazione sesso-affettiva nelle scuole: "Noi passiamo tantissime ore all'interno delle mura scolastiche e quindi deve essere la scuola a insegnare ed arrivare dove la famiglia magari non riesce. C'è molta disinformazione su quello di cui si tratta nell’educazione sessuo-affettiva: serve per insegnare il consenso, per conoscere se stessi senza paure, senza timori e stigmi sociali, per accettare ogni parte di sé. Facendo questo percorso dentro la scuola inevitabilmente la violenza di genere, e le violenze in generale, vengono arginate proprio perché la violenza parte da un'insicurezza. Se noi insegniamo che va bene averle, che queste si possono gestire, come gestire le relazioni, i conflitti ed educare al consenso, io credo che queste cose non succederebbero più. La scuola se ne deve far carico".

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