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Parigi non vuole diventare la nuova Jungle

Dopo Calais, il campo di Stalingrado era da mesi, e fino a oggi, il più grande di Francia. Più di 3000 persone vivevano accampate vicino a questa fermata della metropolitana nella zona est di Parigi. All’inizio, i migranti hanno occupato i marciapiedi sotto le campate dei ponti del metrò, che qui è sopraelevato. Afghani, sudanesi, eritrei e somali, soprattutto uomini, giovani e vecchi, ma anche famiglie e donne con bambini piccoli, hanno poi piantato delle tende di fortuna sui marciapiedi e le aiuole dei viali circostanti. Alcuni dormivano direttamente su dei materassi gettati per terra.

Questa mattina, alle 6, polizia e agenti municipali sono arrivati con ruspe e autobus per smantellare l’accampamento abusivo e “mettere al riparo” i migranti, buona parte dei quali richiedenti asilo. Secondo la prefettura, 3852 persone sono state trasferite nei centri d’accoglienza della regione.

Nel quartiere ci sono abituati, è la trentesima operazione di questo tipo dal giugno 2015. Dopo qualche giorno, le tende rispuntano sempre. E il numero di migranti è in costante aumento. Al punto che non solo le associazioni, ma anche molti privati cittadini si sono organizzati,negli ultimi mesi, per distribuire cibo, e a volte vestiti, in una gara di solidarietà che ha coinvolto soprattutto gli abitanti dei quartieri popolari di Parigi e delle sue periferie. Tra le persone che ho incontrato nei giorni scorsi, molti sono arrivati in Francia dopo un passaggio in Italia e hanno intenzione di restare qui perché, dicono, “in Italia anche se hai lo statuto di rifugiato non hai diritti, ti lasciano per strada, qui ti aiutano”.

Anche se non parlano francese, sono convinti che lo stato si occuperà di loro e hanno saputo che da Calais, per il momento, non si passa. Quindi, per ora, aspettano che succeda qualcosa. C’è chi gioca a carte, chi si fa la barba davanti a degli specchi rotti appoggiati agli alberi, chi cerca di lavarsi un po’ a una fontanella e chi verifica con i volontari di un’associazione di aver riempito correttamente il questionario da presentare in prefettura il giorno dopo. La speranza che i Francesi non li rispediranno a casa né nel paese in cui hanno lasciato le loro impronte digitali, come prevedono gli accordi di Dublino, e una certa rassegnazione, spiegano forse perché l’operazione di polizia di questa mattina si è svolta nella calma generale.

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In realtà, chi è a Parigi da più tempo e soprattutto le associazioni che seguono l’evolvere della situazione da più di un anno, sanno che le cose non sono così semplici. I poliziotti passano spesso, durante la notte o al mattino presto, per fare dei controlli amministrativi, portare via chi non ha i documenti per procedere all’identificazione e spesso distruggere i rifugi di fortuna. Delle operazioni dissuasive che si sono moltiplicate dall’inizio di settembre: Parigi non può diventare la nuova Jungle, è la parola d’ordine. Una delle persone con cui ho parlato mi ha detto che un poliziotto gli ha consigliato di dormire senza tenda, in piccoli gruppi, perché in quel caso li avrebbero lasciati stare.

Qualche mese fa, il comune ha calcolato che ogni giorno arrivano nella capitale una cinquantina di migranti. Una cifra che non tiene conto dell’intensificarsi dei flussi dopo la chiusura di Calais. La città, e il quartiere di Stalingrado in particolare, non solo è diventata il punto di riferimento dei transfughi della giungla e dei richiedenti asilo in attesa di una sistemazione, ma è anche ormai la destinazione finale di chi sperava di passare in Inghilterra, in attesa di trovare altre soluzioni.

Per cercare di risolvere la situazione, il sindaco Anne Hidalgo ha convinto il governo ad autorizzare l’apertura di un campo per i rifugiati ufficiale, all’interno dei confini urbani. Il centro è già stato allestito, ma il comune ha detto che verrà aperto solo dopo lo smantellamento dell’accampamento illegale a Stalingrado. Con i suoi 400 posti letto, c’è chi già dubita che la struttura sia in grado di assorbire il flusso di migranti e chi è sicuro che le tende torneranno ben presto dov’erano, sotto il ponte della metro di Stalingrado.

  • Autore articolo
    Luisa Nannipieri
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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    Anniversario numero 56 per la Strage di Piazza Fontana, quest’anno oltre alle istituzioni nella celebrazione del pomeriggio parleranno una studentessa di un liceo milanese e uno dei vigili del fuoco che entrarono per primi dopo lo scoppio della bomba, ci spiega Federico Sinicato, presidente dell’Associazione dei Familiari delle vittime di Piazza Fontana. “L’importanza del 12 dicembre va al di là della celebrazione e del ricordo che si fa in piazza, è una data storica per l’intero Paese perché è l’inizio della strategia della tensione che produce effetti devastanti e blocca di fatto il grande movimento di riforma del Paese nato dalle lotte dei lavoratori e degli studenti, basta pensare che l’approvazione del Senato dello Statuto dei lavoratori è del 11 dicembre, il giorno prima, il momento fu scelto come risposta all’avanzata dei diritti e se pensiamo che oggi questi valori vengono rimessi in discussione. E’ una data sacra per il Paese”, In Piazza dopo le celebrazioni istituzionali ci sarà il corteo dei movimenti con partenza alle 18.30 da Piazza XXIV Maggio. E ci sarà anche l’inaugurazione del memoriale “Non dimenticarmi“, un’installazione permanente nata dal basso che ricorda le vittime delle stragi, donata al Comune di Milano e installata in Piazza Fontana. L'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    Federico Sinicato presidente associazione Familiari Vittime di Piazza Fontana ci racconta cosa sarà questo 12 dicembre e il percorso di avvicinamento nelle scuole, nei racconti e nelle testimonianze. Valter Boscarello Fondatore di Memoria Antifascista, ci presenta il corteo delle 18h30 (da Piazza 24 maggio fino a piazza fontana) dedicato ai movimenti e alla repressione delle lotte. Nel pomeriggio verrà inaugurato il memoriale “Non dimenticarmi“, un’installazione permanente dedicata a tutte le vittime delle stragi, voluta dal basso e accolta dal Comune di Milano. Linda Maggiori, giornalista freelance e attivista di The Weapon Watch l'osservatorio sul traffico d'armi nei portio italiani, ci racconta la sua inchiesta sulla "flotta del genocidio": le rotte delle armi dai porti italiani pubblicata per Altra economia dove dimostra come l'industria italiana e i porti italiani abbiano rifornito Israele per tutta la durata dell'attacco a Gaza in barba alla legge 185 che lo vieta e alle dichiarazioni del governo. Tiziana Ricci ci presenta la mostra alla Fabbrica del vapore sui 50 anni della radio, gratuita, libera e bellissima.

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