Approfondimenti

Martina Caironi, la portabandiera italiana

Mancano pochi giorni alla XVa edizione delle Paralimpiadi 2016: si terranno a Rio de Janeiro dal 7 al 18 settembre. Martina Caironi, 26 anni e già medaglia d’oro nei 100 metri a Londra 2012, sarà la portabandiera italiana alla cerimonia d’apertura. “Sono un’ascoltatrice di Radio Popolare, ho anche il vostro adesivo sulla macchina. Vi porterò con me a Rio”, ci dice prima di rispondere alle nostre domande.

Stai per salire sull’aereo per Rio. Come ti senti?

“Sento la tensione, sicuramente di più rispetto a quattro anni fa quando partivo, ancora un po’ ragazzina, per la mia prima Olimpiade. Adesso so cosa vado a fare, so che cosa si aspetta la gente da me, ma sto cercando di affrontarla comunque con un po’ di spensieratezza, per divertirmi”.

Senti la pressione della favorita?

“Sì, anche perché tutti me lo ricordano… E’ vero, parto come favorita nei 100 metri, non nel salto in lungo. So che devo, e voglio, far bene”.

Il fatto di essere portabandiera è motivo di soddisfazione in più o responsabilità in più?

“Certamente mi ha dato un po’ di notorietà in più negli ultimi mesi. Il fatto che abbiano scelto me rimane soprattutto motivo di grande onore. Poi, tra qualche giorno, vi saprò dire quale sarà l’emozione del momento. Per ora ho solo un’idea”.

Hai sentito qualcuno dei tuoi colleghi che hanno già gareggiato a Rio alle Olimpiadi per sapere che cosa ti aspetta?

“Ieri ho incontrato qui a Bergamo Marta Milani, che non ha gareggiato ma era a Rio come riserva per la staffetta, e mi ha raccontato un po’ del villaggio olimpico. Poi, guardando gli account twitter dei vari atleti mi sono fatta un’idea, ma vorrei arrivare lì senza troppe aspettative né con idee preimpostate. Vediamo come sarà”.

Chi saranno le tue principali avversarie?

“Sono sempre le solite, a meno di sorprese. La più temuta è la tedesca Vanessa Low, favorita nel salto in lungo. Nei 100 metri è quella che mi è più vicina”.

Come hai iniziato con l’atletica?

“Tutto risale a diversi anni fa. Dopo il mio incidente, passeggiavo per i corridoi del centro protesi e ho visto delle fotografie di atleti nell’atto del salto in lungo o della corsa e mi sono incuriosita. Ho chiesto anch’io di poterlo fare, mi è stata data una protesi adatta. Ho scoperto da subito di avere un talento nascosto perché sin dalla prima gara nel 2010 feci il record italiano. Poi, crescendo, ho cominciato a fare le gare internazionali e il resto è venuto da sé, con fatica ovviamente, perché soprattutto negli ultimi anni gli allenamenti si sono intensificati. Anche il mio fisico è cambiato, adesso è molto più atletico, più forte”.

Quindi hai iniziato più che altro per darti da fare dopo il brutto colpo dell’incidente…

“E’ partita più che altro come curiosità – io sono una persona molto curiosa – e quando scopro qualcosa di interessante cerco di afferrarlo. E poi volevo tornare a correre, perché forse voi non vi rendete conto che, con due gambe, se hai voglia di fare una corsettina la fai. Io mi sono resa conto che non potevo più farlo. E sono passata da un estremo all’altro: dal non poter più correre al correre il più veloce possibile in uno stadio alle Paralimpiadi”.

Come si sceglie una protesi per gareggiare a questi livelli?

“Ci sono dei centri specializzati. Le protesi sono anche molto costose, fortunatamente io non le devo pagare grazie a un progetto del Comitato paralimpico che mi consente di scegliere le migliori sul mercato. A seconda del peso, si sceglie una lamina di una determinata rigidità e, a seconda delle esigenze dell’atleta o della specialità: io per esempio ho una lamina di un certo tipo per la corsa – una lamina che abbia la stessa potenza della mia gamba per non ‘sfasare’ la corsa – e un’altra più rigida per il salto in lungo, per essere più reattiva e spingere verso l’alto”.

C’è un divario tecnologico tra i vari Paesi che concorrono alle Paralimpiadi che può fare la differenza nei risultati?

“Sì, ci sono dei Paesi in cui le novità tecnologiche delle protesi arrivano prima. Per esempio a Londra 2012 io correvo con un ginocchio meccanico mentre alcune mie avversarie correvano già con un ginocchio che è quello che uso io ora, che è molto ‘libero’ e più facile da usare. In ogni caso le regole del Comitato paralimpico internazionale prevedono che ogni tipo di protesi sia accessibile a ogni atleta. Poi molto dipende dalle possibilità e dalle competenze tecniche dei vari Paesi”.

Immagino che la protesi da gara non sia la stessa che utilizzi nella vita di tutti i giorni…

“No, è proprio totalmente diversa. Quella che uso per camminare ha un ginocchio elettronico che mi permette anche di fare le scale, di andare a ballare, in bicicletta, in acqua. Io praticamente mi cambio le protesi come voi vi cambiate le scarpe. A seconda dell’attività io mi cambio la gamba”.

Cosa manca secondo te in Italia per far sì che lo sport, come nel tuo caso, possa essere il modo per superare i propri limiti?

“Prima di tutto ci vorrebbe un abbattimento totale delle barriere mentali, culturali. Servirebbero maggiori investimenti e più occasioni di promozione delle attività sportive per atleti disabili. Spero che queste Paralimpiadi vengano seguite, perché davvero ti si può aprire un mondo. E poi sarebbe giusto raggiungere una parità tra Olimpiadi e Paralimpiadi, perché anche noi facciamo fatica quanto loro e anche noi avremmo bisogno di certe attenzioni”.

Quando sono previste le tue gare? Così puntiamo la sveglia…

“La cerimonia di apertura è il 7 settembre. Poi le mie gare saranno il 10, in Italia saranno trasmesse attorno alle 23. Le semifinali il 17 alle 19 ora italiana. E la finale a mezzanotte (ora italiana) del 18”.

 

Ascolta qui l’intervista a Martina Caironi

martina caironi paralimpiadi

  • Autore articolo
    Massimo Alberti
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    Pubblica di giovedì 04/12/2025

    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

    Pubblica - 04-12-2025

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