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Mannino assolto? La prova che la trattativa Stato-mafia c’è stata

Antonio Ingroia non è preoccupato per l’assoluzione di Calogero Mannino. Per l’ex magistrato, il verdetto del tribunale di Palermo non è un colpo mortale all’impianto d’accusa presentato dalla Procura. Anzi. Paradossalmente, la decisione adottata dal gup Marina Petruzzella è la conferma dell’esistenza della Trattativa tra lo Stato e la mafia. Mannino è stato assolto sulla base dell’articolo 530 del codice di procedura penale che scatta quando “manca o è insufficiente, o contraddittoria”  la prova della colpevolezza dell’imputato. L’ex ministro democristiano è stato assolto per quella che una volta per il codice era l’insufficienza di prove. “Non perché il fatto non sussiste”, dice Ingroia.  Lui conosce bene le carte. Allievo di Paolo Borsellino,  l’ex magistrato è stato uno degli artefici dell’inchiesta che ha portato alla scoperta della trattativa con le cosche. E’stato lui a chiamare in causa personaggi del calibro di Mario Mori e Antonio Subranni, ex ufficiali dei Ros dei Carabinieri: è stato sempre lui a coinvolgere nell’indagine non solo l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino (accusato di falsa testimonianza) e l’ex parlamentare di Forza Italia Marcello Dell’Utri,  ma anche i boss Salvatore Riina, Leoluca Bagarella e Antonino Cinà. Lasciata la magistratura per dedicarsi alla politica per poi tornare a incarichi pubblici in Sicilia con la giunta Crocetta, Ingroia nonsi tira indietro nel commentare i fatti che riguardano le inchieste che un tempo seguiva.

“Questa sentenza inciderà poco sul resto del processo. E’chiaro che l’assoluzione di un imputato che la Procura riteneva colpevole non è un fatto positivo per l’accusa. Ma, le ragioni dell’assoluzione ci fanno capire che il tribunale ha confermato l’esistenza della trattativa Stato Mafia. Non c’è la responsabilità penale personale di Mannino, ma gli altri imputati saranno giudicati dalla Corte d’Assise. Sono sicuro che in quella sede, il verdetto sarà diverso”.

Quindi per lei non è un colpo all’impinato accusatorio…?

Calogero Mannino era un tassello importante per la ricostruzione dell’accusa. Però non è stato assolto con formula piena. Con lui è stato adottato lo stesso 530 che fu adottato per la prima sentenza nei confronti di Giulio Andretti: insufficienza di prove.  Magari ci sarà qualeche  riflesso psicologico, o di clima, sul resto del processo, ma non ci saranno ripercussioni giudiziarie sul procedimento.

Secondo l’accusa che ruolo ebbe Calogero Mannino nella Trattativa?

L’allora ministro democristiano avrebbe dovuto essere ucciso, fare la stessa fine di Salvo Lima, perché anche lui era tra i politici che avevano chiesto favori alle cosche e che poi non avevano mantenuto le promesse.  Secondo l’accusa, Mannino si adoperò per salvare la sua vita attraverso un nuovo patto con la mafia. Dobbiamo leggere la sentenza per capire le decisioni del giudice: può essere che abbia ritenuto che Mannino abbia agito senza aiutare i mafiosi, senza compiere reato.

Cosa è stata la Trattativa?

Girava attorno al Papello di Totò Riina, alle richieste del capo di Cosa Nostra allo Stato: allentamento del 41bis, riduzione dei poteri della magistratura, chiusura delle super carceri. In cambio, la mafia metteva fine alla stagione stragista.  Noi abbiamo accusato i mafiosi e gli uomini dello stato che parteciparono a quella Trattativa.

Come finirà il processo?

Non ho la sfera di cristallo. La Procura ha presentato nuove prove. Che non valevano per Calogero Mannino, ma che possono essere importanti per il proseguimento del procedimento. Nuovi testimoni, nuovi pentiti. Tutti elementi che, ne sono sicuro, porteranno a una sentenza di condanna.

 

  • Autore articolo
    Michele Migone
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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