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Macron liberista europeo coloniale

Emmanuel Macron

Macron impazza in giro per il mondo telefonando a Trump per l’intervento militare in Siria mentre attiva e lancia la sua quota di missili assieme alla Gran Bretagna, alla TV francese in una torrenziale intervista dove trascorre con leggerezza dalla laicità all’islam, dai pensionati agli alti dirigenti pubblici, dai ricchi ai poveri, dagli squatters ai sindacati ecc… nessun argomento dello scibile politico sembra sfuggirgli, per poi arrivare di corsa al Parlamento di Strasburgo mettendo in allarme che in Europa “sta emergendo una sorta di guerra civile” e rischiamo di essere “sonnambuli” come furono le genti, e i governi, prima della Grande Guerra, insomma o si fa l’Europa o si muore. Il che probabilmente è vero.

Però chissà se il modo migliore di fare l’Europa è schierare missili e bombardieri contro la Siria, mentre la Germania dice che non se ne parla nemmeno di un suo intervento attivo, seguita da Italia e Spagna, per dire i maggiori paesi.

Così come la politica francese contro i migranti – che spesso degrada in violazione dei diritti umani più elementari come quello a partorire – non è proprio un bel biglietto da visita per una politica di collaborazione e inclusiva verso i popoli rivieraschi del Nord Africa, Algeria, Tunisia, Marocco, Libia. Intanto nella madrepatria molti concittadini di Macron sono in rivolta contro le riforme cosiddette proposte dal Presidente.

In rapido incompleto elenco sono in sciopero gli impiegati del settore pubblico, i lavoratori del metrò, i ferrovieri, i lavoratori di Air France, quelli di Carrefour, gli elettrici e gli operai del gas, quindici università sono occupate, e moltissimi licei, talchè se volete andare a Parigi, beh non vi sarà facile. Così come non è facile per Macron tenere insieme l’agognata Grandeur, la maiuscola ci vuole tutta, sullo scacchiere internazionale con l’asse franco tedesco come architrave della UE, per non dire della frattura sociale in atto che potrebbe allargarsi.

Ma al di là delle contingenze, sullo sfondo si intendono gli stridii della intera cultura macroniana, così come egli è venuto definendola perchè la sua impostazione liberista non è proprio congruente con la spinta a una politica similcoloniale in Africa, né tantomeno una politica di propulsione della collaborazione e unificazione europea va d’accordo coi colpi di cannone sparati in Medio Oriente. Il fatto è che l’arte di Macron, fondata sull’abilità a parlare con tutti, quando le parole esauriscono la loro potenza, trasformandosi in retorica nel migliore dei casi in chiacchiere vacue nel peggiore, si trova sguarnita se non spuntata. Laddove contano i fatti, la manipolazione verbale lascia il tempo che trova.

E non basta agitare lo spettro della Grande Guerra alle porte in lieta compagnia con la “guerra civile”, per cambiare i dati dei problemi politico sociali che stringono la Francia, e il suo Presidente. La questione è che la Francia, così come l’intera Europa, si trova a affrontare scelte dirimenti e per certi versi drammatiche.

Tra democrazia e oligarchia, tra accoglienza e esclusione, tra eguaglianza e sopraffazione, tra competizione e cooperazione, tra diritti sociali per tutti – casa, istruzione, salute, pensione – e profitti stratosferici per la finanza, tra il dominio dei mercati- i mercanti – e il potere al popolo, tra bellezza e abitabilità del pianeta e la sua distruzione, tra guerra e pace.

Con la marea montante di nazionalisti, fascisti, se non nazisti, comunque mascherati, che pesca nel torbido trascinando con sé una parte del popolo contro un’altra parte, la guerra dei poveri al settimo cielo. Dunque i nodi in Francia come in Europa stanno venendo al pettine, e la filosofia di Macron non pare in grado di affrontarli, né tantomeno scioglierli. Si preparano tempi difficili, e mi pare che l’unica speranza sia un ritorno alla luce della vecchia talpa di marxiana memoria armata di scienza e democrazia, ammesso e non concesso che ancora stia scavando.

Emmanuel Macron
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    Bruno Giorgini
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    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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