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Lombardia seconda regione della ‘ndrangheta: basta dire “zona grigia”

Lombardia seconda regione della ‘ndrangheta: basta dire “zona grigia”

C’è più di un rovesciamento del senso comune sulla presenza della criminalità organizzata in Lombardia nella relazione con cui Nando Dalla Chiesa presenta la ricerca che torna a unire sindacato e università su un tema centrale, sotto-considerato e stimato dalle istituzioni regionali: l’ndrangheta. Si perché la Lombardia ormai è la seconda regione per l’organizzazione di origine calabrese e ormai ha la sua tradizione decennale.

In Lombardia, infatti, si possono trovare tutte le grandi famiglie, le terze generazioni violente e aggressive e anche nuove sperimentazioni. La cosa più sorprendente, anche per il sociologo che ha fondato l’Osservatorio sulla criminalità organizzata dell’università degli Studi di Milano, è che alcune cosche preferiscano ridimensionare il traffico di stupefacenti, magari appaltandolo ad altre organizzazioni, per migliorare la propria reputazione imprenditoriale in settori come l’immobiliare o la finanza.

In Lombardia il processo di accumulazione per l’ndrangheta è sempre più garantito da false fatturazioni, evasione, società cartiere condivise con decine di imprese che partecipano alla truffa ai danni dello Stato e della comunità. Ormai settimanalmente vengono scoperti e denunciati imprenditori e professionisti conniventi, ultimamente tanti tra Brescia e Varese (che registra un preoccupante +58% di riciclaggio negli ultimi anni), che non possiamo più chiamare zona grigia. Piuttosto come dice Dalla Chiesa, “zona nera”, visto che non hanno remore a commettere reati in uno scambio profittevole con la criminalità organizzata.

C’è una parte di imprenditorialità che non vuole vedere, così come non vuole rispondere ai questionari sulla propria attività. E non solo perché le cosche sanno minacciare e intimorire (dove aumentano incendi dolosi a seguito di minaccia, estorsioni e usura, come spiegherà nel caso di Sondrio il ricercatore Andrea Carnì, sta aumentando la presenza mafiosa), spesso basta promettere denaro o ripianare debiti si società in crisi.

La ‘ndrangheta è un cancro per l’economia perché ha enormi capitali e trucca i giochi, ma è anche favorita dall’impoverimento del tessuto imprenditoriale, dalla mancanza di innovazione e qualità, perché investe su settori poveri di formazione e lavoro, di competitività: movimento terra, edilizia, turismo, alberghiero, intrattenimento. E si vede dall’esplosione di questi settori a Milano come dalle aree di nuovo allarme per la presenza di capitali delle cosche: le zone turistiche sul lago di Garda, località montane come Madesimo, fino alla provincia di Sondrio dei cantieri per le olimpiadi. Un rischio preciso che viene segnalato dal ricercatore Andrea Carnì in questa breve intervista

 

Come si potrebbe intervenire? I modi sono tanti, anche per la politica, il legislatore, l’amministratore locale: sui reali titolari delle aziende da svelare, sulla presenza di cooperative con un solo socio da vietare, sul massimo ribasso da escludere dagli appalti. Invece queste pratiche di povertà economica da anni hanno invaso il pubblico. Sta succedendo anche nella sanità, dove la presenza della criminalità inizia dal livello più basso, dalle pulizie per esempio, per conquistare terreno. La mafia non passa mai da sola, ricorda Dalla Chiesa, qualcuno le apre la porta, altri ci fanno affari, altri ancora minimizzano. La ricerca produrrà i suoi dati tra qualche mese, oggi 600 delegati hanno ascoltato con attenzione e hanno preso appunti chiedendosi quale potrebbe essere il ruolo del sindacato e della società civile in questa lotta.

L’intervista integrale a Nando Dalla Chiesa

  • Autore articolo
    Claudio Jampaglia
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale

    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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