Approfondimenti

Lombardia, quando lo sfruttamento è nei campi

Il primo ottobre hanno rotto il silenzio nel lecchese; nella bassa mantovana, nei prossimi giorni, saranno depositate altre 14 denunce. Sono gli invisibili dei campi che cercano di uscire dall’invisibilità. Quel pezzetto di Lombardia fatto di 10/12 ore di lavoro al giorno, con paghe da 3-4 euro l’ora, spesso in nero, sotto ricatto.

“Anche questo è il profondo nord” dice Claudio, una delle centinaia di persone che lavorano nei campi attorno a Sermide, dove il fiume Po fa da confine naturale tra Lombardia e Veneto, la provincia di Mantova incontra quella di Rovigo e le fabbrichette lasciano spazio a distese di campi e case basse.

Claudio ci porta in alcune serre riscaldate, una novità di quest’anno per raccogliere meloni fino a novembre. Da tempo è anche volontario alla Flai Cgil di Sermide, punto di riferimento per chi vuole denunciare irregolarità sul posto di lavoro. Lo sportello è aperto il martedì pomeriggio, “arrivano anche venti persone in tre/quattro ore” dice. C’è chi denuncia ore di straordinario non pagato, chi mesi di stipendio arretrato, c’è chi denuncia di essere stato licenziato ingiustamente e chi vuole capire cosa gli succederà se deciderà di denunciare.

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Tra Sermide, Magnacavallo, Guidizzolo e Viadana si raccolgono soprattutto meloni, quegli stessi meloni che hanno portato Mantova in Europa: è di novembre 2013 l’iscrizione del melone mantovano nel registro europeo Igp (indicazione geografica protetta). Il 2013 è anche l’anno dell’ultimo decreto flussi, quello che ha portato nel mantovano oltre 800 persone tra marocchini, bengalesi, senegalesi, pakistani. A loro si aggiungono nei mesi “caldi” della raccolta – giugno, luglio e agosto – altre decine di persone, quasi sempre soggetti al ricatto della legge Bossi-Fini che vincola il permesso di soggiorno a un contratto di lavoro e reddito. Una straordinaria arma di ricatto nelle mani di chi vuole speculare sulla vita e il lavoro di queste persone.

A differenza di quanto succede nel Mezzogiorno, nella bassa mantovana i braccianti non vivono quasi più accampati in baraccopoli o ghetti, abitano nelle case lasciate libere dai giovani italiani che se sono andati a vivere altrove. I migranti non sono corpi estranei alla vita quotidiana di paese, ma quando si parla di diritti diventano invisibili. Uno degli invisibili è Mohamed, originario del Marocco, in Italia dai primi anni del Duemila. Ha lavorato fino a pochi mesi fa da Lorenzini Naturamica, una delle più importanti aziende agricole del mantovano, produttrice di uno dei meloni di qualità celebrato dentro a Expo 2015.

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“Ero stanco di ricevere uno stipendio più basso delle ore lavorate” racconta Mohamed. “Ora sono rimasto senza lavoro, Lorenzini mi ha lasciato a casa e non riesco più a trovare un altro posto perché il mio nome è finito nella black list delle aziende della zona”. Mohamed ha raccontato tutto a Gianni Gerace della Flai Cgil mantovana e nei prossimi depositerà al Tribunale di Mantova la denuncia insieme ad altri quindici lavoratori.

“Depositeremo gli atti in settimana” dice l’avvocato Andrea Cirillo che segue la loro vertenza. “Parliamo di differenze retributive e straordinari non pagati, quindi ore di lavoro non pagate in busta paga. Abbiamo mandato una lettera di messa in mora all’azienda che non ha riconosciuto la contestazione”. E così passeranno dalla denuncia vera e propria. “La cosa preoccupante” dice ancora l’avvocato Cirillo “è l’assenza dell’Inps e dell’Ispettorato del Lavoro, che nonostante le segnalazioni non si sono mossi”. Anche Gianni Gerace dice che gli ispettori del lavoro sono pochi, “troppo pochi per fare indagini, appostamenti e seguire tutte le denunce”.

Ma quali sono i numeri del lavoro agricolo in Lombardia e delle ispezioni? In Lombardia ci sono poco più di 48 mila aziende agricole per oltre 120 mila lavoratori. Sono quasi 22 mila quelli di origine straniera. Secondo i dati della Direzione Generale del Lavoro lombarda “nel 2014 sono state fatte 168 ispezioni, 92 quelle in cui sono emerse irregolarità: il 52%. I casi accertati di lavoro nero sono stati 74”. Una goccia nel mare. Tra le coltivazioni lombarde, ci sono  uva e mais in Franciacorta e nel bresciano; zucchine e pomodori nel lecchese; meloni, angurie, insalate e cipolle nel mantovano; asparagi e patate nella Brianza monzese; mele e uva in Valtellina.

Negli ultimi anni, con la crisi dell’industria, è aumentato il numero degli italiani che cercano lavoro in agricoltura. Paolo, un altro lavoratore che incontriamo a Sermide, ci racconta che ha smesso di lavorare a settembre perché non veniva pagato da quattro messi. “Ora vediamo se con il sindacato riesco a recuperare qualcosa” racconta, perché “io ho denunciato, ma i miei colleghi stanno zitti sperando di vedere almeno qualche euro a fine stagione. Ma non è giusto”.

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Da Mantova a Lecco, dalle distese di campi alle distese di capannoni. Nella Brianza lecchese si coltiva in appezzamenti di terra più piccoli rispetto al mantovano, spesso a ridosso di case e condomini. E anche qui nessuno vede nulla. La storia denunciata da 12 lavoratori senegalesi e burkinabè è clamorosa. Hanno raccontato alla Flai lecchese di aver lavorato in nero per quattro anni nell’azienda di famiglia di un politico della Lega Nord, Giuseppe Magni, già sindaco di Calco e braccio destro del ex-ministro leghista Roberto Castelli. Magni che nell’ultima campagna elettorale, si racconta in paese, girava per le strade di Calco distribuendo zucchine elettorali, quelle stesse zucchine raccolte dagli africani da “rispedire a casa loro”.

La paga? “3/4 euro l’ora per 10/12 ore al giorno, senza contratto” raccontano i lavoratori stranieri. “Il problema è che quest’anno non ci pagava, diceva dopo, dopo, dopo. Ma dopo non arrivava mai. Così abbiamo lasciato i campi di zucchine di Airuno, Bellusco e Brivio e siamo andati a denunciare”. Vicino a uno dei campi di zucchine di Airuno, un passante conferma di aver visto i ragazzi senegalesi al lavoro solo per alcuni mesi, “poi non li ho più visti” dice. Alla Cgil i lavoratori hanno portato le foto scattate con lo smartphone nei campi, “il resto l’hanno fatto le indagini dell’ispettorato del lavoro di Lecco che in questo caso è intervenuto subito” dice Massimo Sala della Flai. “Speculazione politica per la mia militanza nella Lega” ha replicato Magni alla denuncia, “noi avevamo un regolare contratto con una agenzia di servizi”. Le indagini diranno come andrà a finire.

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Dalla semina alla raccolta, poi la selezione, il trasporto, le vendita ai mercati ortofrutticoli. E ancora la logistica, la grande distribuzione, i mercati. Teste e braccia che si incrociano in una filiera che passaggio dopo passaggio porta con se varie forme di sfruttamento. Anche la Lombardia è parte di questa filiera dello sfruttamento e ora anche di chi alza la testa per i diritti suoi e di tutti. “Ma chi denuncia non deve essere lasciato solo dalle istituzioni” dice Massimo Sala.

E forse, rotto il silenzio, altri lavoratori troveranno il coraggio di denunciare.

 

Ascolta il reportage di Roberto Maggioni dalle campagne lombarde

Il caporalato lombardo

 

  • Autore articolo
    Roberto Maggioni
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    Il 7 dicembre la Scala apre la stagione con l’opera censurata da Stalin

    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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