
Benjamin Netanyahu è stato il primo capo di governo a essere ricevuto da Trump a Washington dopo il suo ritorno alla Casa Bianca. Entrambi hanno sottolineato più volte quanto sia speciale la loro relazione. Il primo ministro israeliano ha esultato per la rielezione di Trump soprattutto per un motivo: la convinzione o la speranza che la sua seconda presidenza possa dare il via libera a un attacco israeliano contro i siti nucleari iraniani. Per Israele, ancora di più per Netanyahu, il regime degli Ayatollah è il pericolo numero uno per la sua stessa esistenza.
Dal 7 ottobre 2023 Iran e Israele si sono attaccati per la prima volta in maniera diretta. E Tehran ha anche dovuto incassare la fine o il ridimensionamento dei suoi alleati in Medio Oriente, il famoso asse della resistenza. Ridimensionati gli Hezbollah libanesi, caduto il regime di Bashar al-Assad in Siria. Da tutto questo l’Iran è uscito sicuramente indebolito. Bene, ora Netanyahu vuole sfruttare questo indebolimento per dare un’ulteriore colpo, una nuova spallata, la più pesante, a Tehran. Colpire i siti nucleari perché sono quelli che minacciano Israele.
C’è però un problema per gli israeliani. Da poche settimane Trump ha deciso di aprire un negoziato diretto con gli iraniani. E nonostante la forte diffidenza entrambe le parti sembrano intenzionate ad andare avanti. La Casa Bianca sostiene che rimangano sul tavolo tutte le opzioni – in fondo lo diceva anche Obama – ma sembra interessata a raggiungere un’intesa. Nonostante la relazione speciale di cui sopra, su questo il presidente americano e il primo ministro israeliano non sono sulla stessa linea.
Dopo l’attacco degli Houthi dello Yemen contro l’aeroporto Ben Gurion di ieri, Netanyahu ha minacciato una risposta anche contro l’Iran, il principale sponsor degli Houthi. E in un suo messaggio su X ha citato anche Trump. Gli iraniani hanno risposto che gli Houthi agiscono in autonomia, sulla base delle loro valutazioni sulla guerra a Gaza e il dramma dei palestinesi, e che loro risponderanno a ogni attacco, anche contro altri paesi della regione se gli attacchi, in questo caso americani, dovessero provenire da lì. Il riferimento è ai paesi arabi.
Il ministro degli esteri Araghchi ha fatto poi esplicito riferimento al piano di Netanyahu: far saltare il piano di Trump e il negoziato Stati Uniti–Iran. In fondo è sempre stato l’obiettivo regionale del primo ministro israeliano: boicottare qualsiasi intesa che non porti all’eliminazione totale del programma nucleare di Tehran e arrivare a un cambio di regime. Per molti israeliani l’accordo di Obama del 2015 era stato fumo negli occhi.
Alcuni analisti israeliani prevedono che Netanyahu possa rischiare e ordinare raid contro obiettivi iraniani anche prima della fine dei colloqui Iran-Stati Uniti. Non è chiara l’entità della differenza di vedute tra Washington e Gerusalemme, di sicuro è la principale differenza sul Medio Oriente. La prossima settimana Trump sarà nella regione, visiterà i paesi del Golfo. Parlerà sicuramente anche di questo.