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Di Maio chiama, Pd diviso in tre

Il leader del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio, con una intervista, ha reso esplicita la strategia pentastellata nei confronti del Pd.

Offrendo un accordo di governo, dicendo “basta guerra, nessun pregiudizio su Renzi”, Di Maio sperava di drammatizzare le tensioni interne, proprio nei giorni di massima crisi del Partito Democratico.

Allo stesso tempo, con quella che nella prima repubblica si chiamava ‘politica dei due forni’, Di Maio si avvicina al Pd per fare pressione su Salvini nel momento in cui il segretario della Lega si ricompatta a Berlusconi.

Una mossa che, secondo il politologo Pietro Ignazi, raggiunto per Popolare Network da Riccardo Tagliati, denota debolezza: “mi dà l’idea di essere un leaer con le spalle al muro, una persona che si è resa conto che deve fare i conti con la realtà, senza sapere come utilizzare il suo gruzzolo di voti” è l’analisi di Ignazi.

Ma se il 5 Stelle è debole, il Pd si spacca ancora, in tre posizioni e lo fa pubblicamente.

Dario Franceschini, via Twitter, ha scritto: “Di fronte alle novità politica dell’intervista di Di Maio serve riflettere e tenere comunque unito il Pd nella risposta. L’opposto di quanto sta accadendo: rispondiamo affrettatamente e ci dividiamo tra noi. Fermiamoci e ricominciamo”.

Matteo Orfini, sempre via Twitter, ha indirettamente risposto a Franceschini: “Siamo alternativi al m5s per cultura politica, programmi e visione sul futuro del paese. Non sarà certo un appello strumentale a cancellare tutto questo. Parleremo con chi riceverà l’incarico e daremo il nostro contributo da forza di minoranza parlamentare“.

Due linee politiche diverse con il segretario reggente Maurizio Martina che cerca di mediare, ributtando la palla nel campo di Di Maio al quale ha risposto: “l’autocritica nei toni e’ apprezzabile, resta evidente l’ambiguita’ politica. Noi continuiamo a pensare che la differenza la fanno i contenuti. Da questo punto di vista non vedo novita’. Il tempo dell’ambiguita’ e’ finito”.

Sergio Mattarella non è Sergio Leone e sicuramente, a differenza del grande autore dei western all’italiana, il presidente della Repubblica non ama la scena dello stallo alla messicana.

Nei film di quegli anni, era il momento cruciale, quando tre duellanti si puntavano reciprocamente la pistola, e soltanto chi avesse mantenuto nervi d’acciaio avrebbe potuto uscirne vivo.

Nella politica del post 4 marzo ‘stallo alla messicana’ è diventata la metafora per descrivere cosa sta accadendo. Con la differenza che gli attori sono anche più di tre, perché nel Pd si scontrano linee diverse e nel centrodestra il rapporto tra Salvini e Berlusconi è sempre più forzato.

Il Movimento 5 Stelle dopo il voto ha annunciato trionfalmente la nascita della ‘terza repubblica’, nientemeno che la ‘repubblica dei cittadini’. E invece i partiti, e addirittura le correnti dei partiti, sono i protagonisti assoluti di questa fase. La tattica prevale sulla visione.

Aspettando che intervenga Sergio a mettere mano allo stallo. Sergio il presidente.

  • Autore articolo
    Luigi Ambrosio
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    Di Cesare: “Sul fascismo c’è una mancanza di vigilanza culturale ed etica”

    Una casa editrice di estrema destra si iscrive alla Fiera nazionale della Piccola e Media Editoria “Più libri, Più liberi”, organizzata dall’Associazione editori italiani. Alcuni intellettuali si chiedono se sia opportuno ospitare pensieri razzisti o apologie del nazismo e come spiega la filosofa e scrittrice Donatella Di Cesare, esperta internazionale di "negazionismo" (l'ultimo suo libro per Einaudi si intitola “Tecnofascismo”): “Non discutiamo la libertà di pensiero e di pubblicazione per una casa editrice, ma l’idea della Fiera intitolata Più libri, Più Liberi a cui chiediamo se è giusto offrire questa vetrina ulteriore, così emblematica e significativa, dove verranno esposti autori e tematiche che in altri paesi europei come la Germania non sono tollerate”. “In Italia c’è una soglia molto bassa di attenzione, forse perché i temi storici non vengono approfonditi e siamo ancora nella vulgata del rigurgito del passato che ritorna o di temi folcloristici da non prendere seriamente e secondo me è un elemento critico e una mancanza di vigilanza culturale ed etica”. Ascolta l'intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli.

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    C’è un tesoro in Italia, ambito da sempre, ed è il tesoro delle Assicurazioni Generali. Chi comanda a Trieste, comanda su un pezzo importante del paese. Per 70 anni il tesoro delle Generali è stato controllato da Mediobanca, che una volta era il salotto del capitalismo familiare italiano e oggi è una solida banca milanese. Nell’ultimo anno, grosso modo, due capitalisti nostrani, non si sa se anche coraggiosi, Francesco Gaetano Caltagirone, insieme a Francesco Milleri, hanno portato a termine il colpo del secolo: con un’operazione di scambio di azioni – e con il concorso esterno del MPS, fino a qualche mese fa banca di stato - hanno cacciato i vecchi azionisti dagli uffici di piazzetta Cuccia a Milano (Mediobanca) e al loro posto ci hanno messo se stessi più alcuni amici. In questo modo l’immobiliarista e editore Caltagirone, insiene al socio un po’ litigioso degli eredi Luxottica, hanno preso il controllo di Mediobanca. E lo hanno fatto con l’aiuto del MPS, banca pubblica privatizzanda. Preso il controllo di Mediobanca, i “nostri” Caltagirone&Soci hanno cominciato a vedere terra, la costa triestina, la casa mitteleuropea di Generali. Ora, su tutta questa operazione – sommariamente sintetizzata – qualcosa non ha funzionato. La Procura di Milano sta indagando per il mancato rispetto di alcune importanti formalità da codice penale: il “concerto” non previsto, il rispetto del “mercato” e delle autorità di controllo. Aspettiamo fiduciosi che la giustizia faccia il suo corso, mentre la politica rivendica i suoi meriti, giusti o sbagliati che siano. Pubblica oggi ha ospitato il giornalista e saggista Vittorio Malagutti (Domani) e il senatore del Pd Antonio Misiani.

    Pubblica - 02-12-2025

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