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Leone d’Oro a Del Toro

Leone d’oro a “The Shape of Water” del regista messicano Guillermo del Toro e alla sua storia ambientata nel 1962 in una base spaziale americana dove viene tenuto nascosto un mostro dalle fattezze umane, ricoperto di squame e in grado di comunicare con una ragazza muta (Sally Hawkins da premio) che fa le pulizie nel laboratorio.

Come da previsione premiato, per la miglior sceneggiatura, anche “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh, il film più amato da critica e pubblico, un po’ noir è un po’ commedia, con la bravissima Frances McDormand, una madre in cerca di verità e giustizia sull’omicidio con stupro della figlia.

Un verdetto pieno di sorprese, forse anche per la presenza di quattro attrici in giuria, a partire dalla presidentessa Annette Bening, Jasmine Trinca, Rebecca Hall e Anna Mouglalis.

La sorpresa più grande è il Leone per la miglior regia, oltre al Leone del futuro/Premio De Laurentiis a Xavier Legrand per “Jusqu’à la grande”. Un’opera prima sulla separazione di una coppia, con una causa per l’affido del figlio minorenne per le violenze che la madre ha subito dal marito.

Il Leone d’argento è andato a “Foxtrot” del regista israeliano Samuel Maoz, già vincitore di un Leone d’oro nel 2009 con “Lebanon”, ma questa volta con un film molto criticato, sulle coincidenze e la morte ambientato tra un appartamento e un check-point.

Sorprese giuste anche per le Coppe Volpi. Quella per la miglior attrice è stata consegnata a Charlotte Rampling per “Hannah” donna solitaria e malinconica diretta dall’italiano Andrea Pallaoro in una sorta di monologo interiore, fatto di silenzi.

E quella per il miglior attore, meritatissima, nonostante le interpretazioni di Donald Shuterland nel film di Paolo Virzì (ingiustamente trascurato) e di Ethan Hawks in “The first reformed” di Paul Shrader, all’attore palestinese Kamel El Basha. È uno dei due protagonisti di “The insult” del regista libanese Ziad Doueiri (ex operatore di Quentin  Tarantino).

Dunque, nella stessa cerimonia, premi a un israeliano, a un libanese e a un palestinese. Sarà solo un caso?

Tornando alle sorprese, il Premio Speciale della Giuria lo ha ricevuto “Sweet Country” del regista australiano Warwick Thornton, una sorta di western ambientato nel 1929, sulla storia di Sam, un aborigeno custode di bestiame costretto a scappare con la moglie incinta, per non subire più le angherie razziste del suo padrone.

Da segnalare il Premio Mastroianni per il miglior attore esordiente a Charlie Plummer, l’adolescente orfano in fuga per le strade d’America nel commovente “Lean on Pete” di Andrew Haigh e il Premio per il miglior film nella sezione Orizzonti a “Nico, 1988” di Susanna Nicchiarelli.

 

 

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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