
A Radio Popolare il rapper interviene sullo sgombero del centro sociale e critica chi non capisce il senso di un’occupazione. “Le città hanno bisogno di posti per produrre arte e vita. Se sono vuoti, allora vanno presi. L’occupazione è una provocazione politica”.
Che impressione ti ha fatto lo sgombero del Leoncavallo?
Guarda, lasciamo perdere. Poi questa cosa subdola di farlo ad agosto mentre tutti sono al mare così anche l’informazione, che ti fracassa la minchia per 11 mesi, non se ne accorge e ti parla d’altro: della storia d’amore dell’estate, della fidanzata di quello, di quello ha fatto le corna con quell’altro. Purtroppo, invece è tutto molto serio. Ma è possibile che ancora nel 2025 dobbiamo affrontare questo tipo di problematiche? Cioè il fatto che una grande città come Milano non sia sensibile alle istanze di un laboratorio artistico e sociale non omologato. Poi, senti dire da chi combatte gli spazi come il Leoncavallo: “Eh, ma la proprietà è privata e voi la occupate”. Ma nessuno vuole occupare per il gusto di occupare. L’occupazione è una provocazione politica. Gli attivisti tengono solamente a dire: “Ragazzi svegliatevi, perché le città hanno bisogno di posti, l’arte ha bisogno di posti non omologati, i posti sono vuoti e allora noi ce li prendiamo per farvi capire che esiste un problema. La gente pensa che lo scopo sia occupare. Lo scopo invece è produrre arte e vita. È quello che abbiamo fatto anche noi all’Isola del Cantiere che era un posto molto osteggiato dai collettivi più stalinisti italiani. L’Isola del Cantiere diceva: “Facciamogli vedere noi come si fa l’arte”, senza per forza mettere quattro buttafuori incazzati, senza per forza vendere le birre a 20.000 lire, senza per forza imporre dei modelli comportamentali. Ma dicendo solo: “Gestisciti tu il tuo modello comportamentale”. Ecco, io questo voglio dire al riguardo. E mi sorprenderei molto se la politica milanese non facesse qualcosa adesso per per ripristinare uno spazio per questi collettivi.