La guerra costa. Una stima dell’agenzia Reuters dice che all’Ucraina ogni giorno di guerra contro la Russia costi almeno 150 milioni di dollari. Kyiv ha potuto far fronte all’invasione russa grazie al supporto occidentale, supporto militare ma anche supporto finanziario. Senza questa rete gli ucraini non avrebbero potuto respingere, fin dove possibile, la pressione delle truppe di Mosca lungo la linea del fronte e non avrebbero nemmeno potuto sopportare i ripetuti attacchi contro le infrastrutture energetiche e gli obiettivi civili. I sistemi di difesa – per esempio i missili Patriot – sono tra le armi più care che gli occidentali hanno mandato in Ucraina.
A febbraio la guerra entrerà nel suo quinto anno. Con il ritorno di Donald Trump il sostegno americano è cambiato. Rimangono il supporto politico, l’impegno diplomatico, e anche il sostegno militare, ma l’obiettivo dichiarato del governo americano è quello di convincere le parti a fermare la guerra e nel frattempo di lasciare agli europei la maggior parte dell’impegno finanziario.
Impegno finanziario che non è necessario solo per pagare le spese militari. Diventa indispensabile per tenere in piedi lo stato ucraino, per pagare i dipendenti pubblici, per garantire i servizi di base. Nelle ultime settimane, per esempio, sono diventati sempre più frequenti i black-out elettrici, per limitare i danni servono generatori e tecnici che riescano ad aggiustare quello che si può aggiustare nel minor tempo possibile. In fondo sappiamo come la strategia russa sia anche quella di colpire il morale degli ucraini e il loro spirito di resistenza.
I leader europei continuano a dire che saranno al fianco di Kyiv fino alla fine della guerra. Lo hanno ribadito ancora in questi giorni la presidente della commissione UE, Von der Leyen, e il presidente francese Macron ricevendo Zelensky a Parigi. Ma gli analisti fanno notare come inizi a esserci una certa distanza tra le parole e i fatti. Nel senso che non sempre alla volontà politica corrisponda la possibilità di fare quello che si vorrebbe fare. Nello specifico in questo momento il problema sono i soldi. L’Ucraina ha bisogno che il supporto finanziario sia continuo e i prossimi finanziamenti devono arrivare entro i primi mesi dell’anno prossimo.
Ma i governi europei – il fatto – non riescono a mettersi d’accordo. Ursula Von der Leyen ha scritto ai 27 questa settimana, spiegando che le opzioni sono tre: i fondi russi congelati in Europa, un aumento del debito comune dei 27, prestiti o donazioni a Kyiv da parte dei singoli paesi. Le ultime due opzioni sono piuttosto improbabili. I paesi europei non sono messi economicamente bene. La prima opzione, sulla carta quella meno dolorosa, si porta dietro una serie di rischi legali.
La maggior parte dei fondi russi congelati in Europa sono stati messi in un sistema di deposito con sede in Belgio e il governo belga teme di dover rispondere a una causa internazionale aperta dalla Russia per appropriazione indebita, confisca, dei suoi beni. Il Belgio chiede quindi che gli altri paesi europei condividano i rischi e mettano delle garanzie. La Commissione europea ha riconosciuto i rischi, ma ha anche detto che visto l’obiettivo – supportare chi si trova in prima linea di fronte alla minaccia russa – valga la pena correrli. Molti però non sono convinti.
Dal punto di vista finanziario l’obiettivo sono circa 140 miliardi di euro. I fondi russi li coprirebbero senza problemi, ma appunto i problemi sono di altra natura. Alcuni temono oltretutto che altri paesi, o anche operatori finanziari, possano iniziare a percepire l’Europa come luogo non più sicuro per grossi investimenti. Il prossimo vertice europeo sarà tra circa un mese. Sarà necessario un accordo. Impossibile prevedere quale possa essere. È un grosso problema per Zelensky, che momento ne ha già tanti altri.


