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Le sorprendenti dimissioni della premier neo zelandese Jacinda Ardern

“Mi dimetto, perché da un ruolo così privilegiato, derivano delle responsabilità. La responsabilità di sapere quando sei la persona giusta per fare da guida, e quando non lo sei. So cosa richiede questo lavoro e so che non ho più abbastanza energie per rendergli giustizia. È semplice”.

La premier neozelandese Jacinda Ardern ha annunciato così le sue dimissioni, cogliendo tutto il mondo di sorpresa.

“So che ci saranno grandi discussioni dopo questo annuncio sulle cosiddette ‘reali ragioni’. Posso dirvi che è semplicemente quello che sto condividendo con voi oggi. L’unico punto di vista interessante che troverete è che che dopo aver affrontato grandi sfide per sei anni, sono umana. I politici sono umani”.

Ardern ha spiegato che entreranno in vigore a partire dal 7 febbraio, diversi mesi in anticipo rispetto alle elezioni generali che si terranno il prossimo 14 ottobre, e alle quali – ovviamente – non si presenterà.
In un mondo in cui i politici si aggrappano al potere con le unghie e sempre più spesso, pensiamo agli Stati Uniti o al Brasile, la transizione politica è segnata da violenza e insurrezione, la decisione di Ardern colpisce ancora di più. Un passo indietro dovuto non a scandali o a crisi politiche ma ad una sua decisione personale, maturata sicuramente con fatica ma grazie alla capacità di riconoscere i propri limiti, e al coraggio di ammettere la fatica.
Jacinda Ardern è stata sorprendente in molti momenti della sua carriera politica. Nel 2017, quando è stata eletta a 37 anni, è diventata la leader donna più giovane al mondo. Un anno dopo è stata la seconda della storia a diventare madre mentre era in carica, parlando sempre della maternità in modo molto chiaro e onesto.
Durante gli anni del suo doppio mandato ha rappresentato una speranza per la sinistra globale – mentre altrove emergevano Trump e Bolsonaro e il Regno Unito entrava nell’era Brexit – e un’alternativa alla tronfia e roboante politica dei suoi colleghi maschi.

“Questi cinque anni e mezzo sono stati i più appaganti della mia vita, ma guidare il paese attraverso le crisi è stato difficile”.

Nel 2019 ha dovuto fare i conti con il dolore, la paura e il trauma della nazione dopo che due moschee di Christchurch, la terza città del paese, sono state teatro dell’attentato terroristico più grave nella storia della Nuova Zelanda. Persero la vita 51 persone. Ardern visitò la comunità ferita, abbracciò i sopravvissuti indossando un hijab e non alimentò mai nessun discorso d’odio. Qualche tempo dopo, una bambina di 8 anni, Lucy, le scrisse una lettera, per ringraziarla. Lei le rispose, spiegando alla bambina che la cosa più importante che si può fare è dimostrare il nostro amore e rispetto per la comunità musulmana e non accettare che si diffonda odio.
Solo pochi mesi dopo, poi, la Nuova Zelanda è stata scossa da un’altra tragedia: l’eruzione del vulcano White Island, che è costata la vita a 21 persone.
Durante il suo periodo da premier, ha anche traghettato la Nuova Zelanda attraverso la pandemia, ottenendo il riconoscimento internazionale del suo successo nella gestione della crisi e dove fondamentale è stato il suo approccio chiaro, tranquillizzante e umano. Con l’introduzione dell’obbligo vaccinale e l’estensione delle chiusure e del lockdown, Ardern è diventata anche il principale obiettivo dei no vax e dei cospirazionisti, diventando anche bersaglio di attacchi misogini e minacce vere e proprie.

“Spero di lasciare ai neozelandesi la consapevolezza che si può essere gentili ma forti, empatici ma decisi, ottimisti ma concentrati. Che potete essere il vostro modello di leader, uno di quelli che sa quando è il momento di andarsene”.

Ardern ha dimostrato che per essere una donna al potere non serve emulare i colleghi uomini. Che la compassione, la gentilezza e l’empatia non sono una debolezza, ma una forza che rendono una brava politica, una leader.

Foto | Ansa

  • Autore articolo
    Martina Stefanoni
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    In Etiopia inaugurata la diga della discordia

    Il 9 settembre, dopo 14 anni di lavori, l’Etiopia ha inaugurato ufficialmente la Gerd, la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande progetto idroelettrico d'Africa, e tra i 20 più grandi al mondo. Da anni la diga è anche causa di tensione con i paesi a valle del Nilo: Sudan e soprattutto Egitto, che temono di vedere ridotte le proprie risorse idriche, anche in considerazione dei sempre più frequenti periodi di siccità. “Questa diga sarà certamente uno degli epicentri di tensione di questa regione nel prossimo futuro” spiega Luca Puddu, docente di storia dell’Africa all'Università di Palermo, al microfono di Sara Milanese. Ascolta l’intervista andata in onda in A come Africa.

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