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Le femmine folli di Virzì

Paolo Virzì è bravissimo a dirigere le donne. Sfogliando la sua filmografia è evidente quanto le figure femminili siano fondamentali e ben descritte nel suo cinema, cosa rara nel panorama culturale italiano, che spesso utilizza il genere femminile in maniera avvilente o con superficialità. Per non addentrarsi in un discorso troppo complesso è inutile spiegare quanto le immagini influenzino la mentalità collettiva, ma è bene ricordarlo. A parte N-Io e Napoleone che per esigenze storiche si concentrava più sugli attori (e che attori! Daniel Auteuil, Elio Germano, Valerio Mastandrea), già a partire dalla tenera giovinezza di Caterina va in città il punto di vista è quello femminile. In altri film, da La bella vita a La prima cosa bella, passando da Tutta la vita davanti intelligenza, sensibilità e un po’ di allegra follia stanno al centro della cinematografia di Virzì.

Con La pazza gioia si arriva al punto più alto della narrazione in questo senso. Scritto con Francesca Archibugi e interpretato da Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti, il nuovo film di Paolo Virzì si immerge nel limbo psichico di Beatrice e Donatella. La prima è una mitomane, molto borghese ma completamente persa in un delirio di onnipotenza che la rende ingestibile. E’ la Bruni Tedeschi che ricalca in parte il personaggio interpretato in Il capitale umano, portandolo alle estreme conseguenze, senza freni inibitori e confermando il suo talento. Donatella è più riservata e arrabbiata, porta con sé un dolore fortissimo, è depressa con qualche tentativo di suicidio alle spalle e una disperata malinconia legata a un figlio piccolo.

Tra le due donne totalmente agli antipodi, si crea un’alchimia particolare guidata dal desiderio di libertà e di riappropriazione di una situazione perduta. La pazza gioia, titolo che rimanda nella sua composizione a una sorta di marchio di fabbrica della titolazione da parte del regista livornese, tocca il tema dei diritti rendendo pubblica una violazione e una catalogazione di ingiustizie che riguardano lo stato di salute di questo Paese. “Abbiamo voluto raccontare anche l’ingiustizia, l’oppressione, il martirio delle persone fragili, delle femmine stigmatizzate, disprezzate, condannate, recluse. Ma senza che questo diventasse un pamphlet – racconta Virzì -. Il tentativo di questo film è anche quello di raccontare la sofferenza con il sorriso, cercando la gioia e l’euforia nei luoghi di dolore. Luoghi come la Villa Biondi nei pressi di Pistoia, un Ospedale Psichiatrico ricostruito sulla base di racconti e incontri con psicoterapeuti e personale paramedico che alla malattia mentale hanno dedicato studi approfonditi e ricerche per migliorare la condizione dei pazienti. Non a caso all’ingresso della struttura è stato collocato il Cavallo azzurro simbolo della battaglia di Franco Basaglia.

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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