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Le altre vittime del femminicidio

L’ultimo caso solo pochi giorni fa, a Ravenna. L’ultimo femminicidio, una donna uccisa dal marito. Ogni tragedia fa tante vittime: ci sono le famiglie coinvolte, ma quelle più fragili e devastate, sono i figli.

Vengono chiamati orfani speciali, perché in pochi minuti perdono entrambi i genitori. Non solo la mamma uccisa, ma anche il padre che si trova in carcere, oppure si è tolto la vita. Sono tanti, spesso dimenticati dopo i giorni successivi alla tragedia, quando chi si prende cura di loro cerca di togliere dai loro sguardi le foto sui giornali della mamma e del papà.

1600 in 15 anni gli orfani speciali: una ricerca presentata a cura dell’Associazione D.i.re  e dell’Università di Napoli ha fotografato la loro situazione, dove e come vivono, intervistandone, con le dovute cautele, circa 123. Vite devastate in pochi istanti, senza più punti di riferimento, né affettivi né sociali, perché spesso, oltre alla loro casa, cambiano città, scuola, amicizie.

Dalla ricerca emerge che al momento del delitto, l’84% dei figli era minorenni e il 40% degli orfani era presente al momento dell’uccisione della madre. Nei loro occhi quindi l’immagine del padre che uccide la loro madre: hanno incubi per molto tempo, paura del buio, sono insicuri, inappetenti e fragili.

In quasi tutti i casi i ragazzi sentiti non vogliono più avere a che fare con il padre in carcere, lo vogliono dimenticare e cambiare anche cognome. Otto volte su 10 i bambini hanno assistito a precedenti episodi di violenza in casa, il coltello che si alza per colpire è un gesto che viene da lontano.

Restano traumatizzati per molto tempo, la ricerca usa tre termini per descrivere il loro stato: lutto, guerra e terremoto e l’ultimo serve a descrivere la devastazione che avviene nelle loro vite.

A curare la ricerca Switch-off, è stata la psicologa Anna Costanza Baldry, sentiamo i contenuti e ciò che manca ancora da fare per non lasciare soli chi si prende cura degli orfani

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Il 57% di questi orfani non hanno un sostegno psicologico adeguato, magari c’è all’inizio, ma poi vengono lasciati soli, alle cure dei famigliari, zii, nonni materni, anche loro alle prese con un lutto difficile da elaborare.

L’affido parentale non ha coperture economiche, e spesso le famiglie che si prendono cura, in molti casi per sempre, dei bambini hanno seri problemi a coprire le spese di mantenimento, ma anche quelle legali, per procedimenti burocratici lunghi e dolorosi. Ci sono casi di ragazzi che per questo motivo sono stati costretti a trasferirsi nelle case-famiglia, lasciando i loro parenti.

Giovanni Paolo è uno zio che si è preso cura dei nipoti, il primo aveva otto anni, dopo la morte della loro madre, uccisa dal loro padre.

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Per questo la ricerca oltre a svelare il dramma e il lutto che si perpetua per anni e anni sulla vita di bambini e ragazzi, contiene anche una richiesta precisa sia al Parlamento perché cambi la legge sugli affidi e sulla potestà genitoriale del padre assassino, ma anche perché vengano date più risorse per il mantenimento e per il supporto psicologico alle vittime: alle donne con i centri anti-violenza, affinché non si sentano sole dal momento della denuncia e poi ai loro figli, perché le loro vite riprendano ad avere un senso e un futuro, senza vergognarsi né sentirsi abbandonati.

  • Autore articolo
    Anna Bredice
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    Carceri: meno rieducazione e più punizione

    Niente autorizzazione per “la squadra di rugby del carcere di Livorno, il corso di scrittura nel carcere di Parma, una serie di attività di Ristretti orizzonti nel carcere di Padova…”, così Susanna Marietti coordinatrice nazionale di Antigone (e da 16 anni voce di Jailhouse Rock il lunedì sera su Radio Popolare) racconta i primi effetti del passaggio al Ministero delle richieste di attività trattamentali (laboratori, corsi, formazione) che prima erano nelle disponibilità delle direzioni degli istituti carcerari. Una scelta del Governo che sta ridisegnando il sistema carcerario: “Tassello per tassello si compie la visione di un carcere chiuso, è la stessa idea di carcere che troviamo nel reato di rivolta penitenziaria [che punisce anche le proteste nonviolente, N.d.R.]: stai zitto, obbedisci agli ordini e non rivendicare mai i tuoi diritti”. Nessuna funzione rieducativa. Ascolta l’intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia a Susanna Marietti.

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