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“Vogliono abolire il contratto nazionale”

E’ uno scontro duro quello tra i tre sindacati dei metalmeccanici Fiom, Fim, Uilm e la controparte Federmeccanica. Dopo sei mesi di trattative per il rinnovo del contratto la situazione resta bloccata. Gli operai scioperano, ma gli industriali, sostenuti da Confindustria, non arretrano.

Una vertenza che riguarda uno dei comparti trainanti dell’economia italiana. L’occupazione metalmeccanica equivale al 6 per cento del totale del Paese e al 41,3 per cento di quella dell’intera industria manifatturiera. Sono 1,7 milioni i lavoratori metalmeccanici, con una produzione di ricchezza, in termini di valore aggiunto, per 100 miliardi di euro. Un settore colpito duramente dalla crisi: dal 2007 al 2014 sono stati persi 252.000 posti di lavoro e il 30 per cento della produzione, come dicono i numeri di Federmeccanica.

Uno dei nodi dello scontro riguarda il ruolo del contratto nazionale con al centro gli aumenti di salario e gli orari di lavoro. Federmeccanica non parla di rinnovo del contratto, ma di “rinnovamento”: non si tratta solo di differenze formali, ma di sostanza. Gli industriali chiedono un cambiamento “storico”: superare l’attuale sistema contrattuale, ritenuto inadatto all’evolversi dell’economia e alla competizione globale.

Federmeccanica chiede di limitare gli aumenti salariali a livello nazionale solo a chi è sotto il minimo contrattuale. Secondo i sindacati si tratterebbe di una parte minima della categoria, meno del 5 per cento del totale dei lavoratori. Resterebbe dunque escluso dagli aumenti nazionali il 95 per cento dei dipendenti, ai quali gli incrementi salariali – secondo gli industriali- sarebbero lasciati alla contrattazione nelle aziende legandoli alla produttività , al welfare aziendale e alla sanità integrativa.

Fiom, Fim e Uilm, partiti divisi, dopo anni si sono ricompattati e hanno respinto le richieste degli industriali, sino allo sciopero nazionale di questi giorni e al blocco degli straordinari.

manifestazione metalmeccanici

Ci sono stati cortei, proteste operaie molto partecipate secondo i sindacati che accusano i principali media di averle oscurate. Uno dei protagonisti di questa vertenza è il segretario generale della Fiom-Cgil Maurizio Landini.

Landini qual è secondo lei la posta in gioco con la Federmeccanica?

“L’esistenza stessa del contratto nazionale di lavoro, in quanto Federmeccanica nei fatti vuole superare i due livelli di contrattazione”.

In concreto cosa vuol dire?

“Vuol dire che Federmeccanica è disponibile a aumentare i salari solo con la contrattazione aziendale. Questo significa che il contratto nazionale di lavoro non ha più la funzione di tutela e garanzia del potere d’acquisito per tutti i metalmeccanici italiani. Un fatto grave, soprattutto in un Paese come il nostro dove la maggioranza dei lavoratori si trova in piccole e medie imprese, nelle quali la contrattazione aziendale si svolge solo in tre casi su dieci. Noi invece vogliamo estendere garanzie salariali e diritti”.

Nel merito, cosa chiedete come sindacati sulla parte salariale?

“Si sta chiedendo una rivalutazione dei salari che almeno su base annua garantisca il potere d’acquisto nel rapporto con l’inflazione, valutando volta per volta se si può andare oltre l’inflazione”.

La risposta degli industriali?

“Federmeccanica propone invece di fatto che il recupero dell’inflazione sia garantito solo al 5 per cento dei lavoratori. Significa che chi ha un salario già sopra i minimi contrattuali non prenderà nulla e questo vuol dire andare verso un modello aziendalista molto americano, che di fatto cancella il contratto nazionale”.

E sull’orario di lavoro?

“Noi chiediamo di rafforzare il ruolo della contrattazione nelle aziende, visto che ci chiedono di aumentare le ore di lavoro individuali, di lavorare su più giorni, più turni alla settimana. Federmeccanica vuole invece aumentare la discrezionalità , in sostanza aumentare gli orari individuali come vuole…”.

Voi fate diverse richieste, però dovete fare i conti con un’industria metalmeccanica che ha subito una violenta crisi. E gli industriali vi rispondono che prima di redistribuire la ricchezza bisogna crearla.

“Guardi che la ricchezza prodotta in questi anni non è stata redistribuita. L’Istat dice con chiarezza che due terzi dei profitti delle imprese non sono stati reinvestiti in azienda, ma portati all’estero, o dirottati su speculazioni finanziarie o immobiliari. In più vorrei ricordare alle imprese che il Governo ha fatto diversi interventi per ridurre loro il costo del lavoro”.

Lei parla del Governo. Su questo fronte avete della richieste da fare in comune con le imprese?

“Noi chiediamo alle imprese di rivendicare insieme al Governo la defiscalizzazione degli aumenti contrattuali nazionali e non solo di quelli aziendali. Sarebbe un modo intelligente per ridurre le tasse al lavoro e mettere un po’ di soldi in tasca ai dipendenti. Questo farebbe bene anche ai consumi e quindi all’economia”.

Landini risponda a quest’altra obiezione degli industriali: prima aumentiamo la produttività, poi parliamo di aumenti salariali.

“Ma guardi la tutela del potere di acquisito è una funzione che prescinde dalla produttività. E poi la produttività non è solo l’olio di gomito dei lavoratori, ma significa investimenti nella ricerca, nella tecnologia, nella formazione da parte delle imprese. E aggiungo: ci vuole poi il sistema Italia nel suo insieme che sostenga la produttività delle imprese. Invece l’Italia è tra i Paesi che investono meno in Europa. Non si può ridurre il tutto a quanto produce il singolo lavoratore”.

Voi sindacati continuate gli scioperi, ma Federmeccanica non molla. Avete contro tutta la Confindustria. Sarà difficile il vostro rinnovo contrattuale.

“Questo lo vedremo. Mi auguro che prevalga il buon senso tra gli imprenditori. Altrimenti continueremo la mobilitazione. Gli operai stanno partecipando attivamente, abbiamo il loro consenso. Noi sindacati, dopo anni, siamo uniti e le imprese devono stare attente. Se poi pensano di usare la crisi per far fuori il contratto nazionale faremo proteste ancora più dure, dentro e fuori le fabbriche”.

Landini voi scioperate, fate cortei partecipati. Ma le lotte operaie non finiscono più sulle prime pagine dei giornali, o in televisione. Contate ormai così poco?

“Ma no… Guardi, abbiamo fatto anche una protesta davanti alla Rai. Sarebbe ora che il servizio pubblico tornasse a fare il servizio pubblico e a parlare dei veri problemi della gente, invece si sta raccontando un realtà che non esiste”.

Detto ciò, se non riprenderanno le trattative contrattuali e la televisione pubblica non parlerà di voi, cosa farete?

“Siamo pronti a fare qualsiasi cosa, cose anche non normali…”.

Per esempio? Ci dia qualche anticipazione…

“No, guardi non le anticipo niente. Quello che è certo è che non staremo con le mani in mano se non si riprendono le trattative contrattuali e se non ci sarà un livello adeguato di informazione. Non accetteremo che vengano oscurate le vite di milioni di persone”.

  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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