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Landini a Meloni: il conflitto sociale è democrazia. L’intervista a Radio Popolare

Landini a Meloni Intervista democrazia

Da Giorgia Meloni a Donald Trump, dal referendum al lavoro precario e la democrazia. Maurizio Landini a tutto campo in questa intervista a Radio Popolare, realizzata al Pala Dozza di Bologna dove si è tenuta l’assemblea della Cgil intitolata “Il voto è la nostra rivolta”. È l’avvio della campagna referendaria del sindacato guidato da Landini.

La notizia di ieri è quella del crollo della produzione industriale, -7% a dicembre, ma siamo ormai a quasi 2 anni di crollo continuo. Che cosa significa questo per le lavoratrici e i lavoratori e cosa bisognerebbe fare?

Per i lavoratori e lavoratrici significa cassa integrazione, significa rischio di perdita dei posti di lavoro. Significa che il nostro sistema industriale sta correndo il rischio di una regressione senza precedenti perché stiamo pagando la mancanza di investimenti, la mancanza di politiche industriali. Interi settori strategici, dalle telecomunicazioni al settore dell’automotive, rischiano di saltare per scelte sbagliate sia da parte delle imprese private, che in molti casi stanno investendo meno o si stanno dividendo gli utili anziché reinvestire, ma anche a causa di politiche industriali pubbliche che o sono assolutamente inadeguate o non ci sono.

Voi siete qui a Bologna per lanciare la campagna referendaria e l’avete chiamata “Il voto è la nostra rivolta”. Perché avete deciso di mobilitarvi in questo modo per i referendum e cosa cambierebbe con quei referendum se passassero?

Beh, innanzitutto perché di fronte alla crisi della democrazia, la democrazia la difendi praticandola e uno dei problemi che noi stiamo vedendo è che quando il 50% dei cittadini e delle cittadine a votare non ci va più, questo rischia di favorire solo una logica oligarchica e autoritaria della politica perché diventa una minoranza che decide per tutti, anche contro il parere della maggioranza delle persone. Per questa ragione oggi tornare a votare è l’atto più democratico e più forte che le persone possono fare. Tra l’altro da una scelta individuale, il voto, può venire fuori un’azione collettiva che può cambiare davvero il nostro paese. Noi stiamo chiedendo di cancellare quelle leggi balorde che negli ultimi 20 anni hanno aumentato la precarietà nel nostro paese e che è anche la conseguenza del calo della produzione industriale, perché se è un paese anziché investire sull’innovazione dei prodotti, sulla qualità del lavoro, sull’intelligenza delle persone, investe sulla riduzione dei diritti, sul lavoro a basso costo, sull’appalto, sul subappalto, è chiaro che questo ti porta fuori mercato.
Noi non stiamo dicendo che questo referendum è contro questo governo o contro questo partito. Noi stiamo chiedendo di cambiare, perché le politiche fatte negli ultimi 25 anni in questo paese hanno determinato un aumento delle diseguaglianze e stanno portando il nostro paese ad una regressione senza precedenti. Bisogna proprio cambiare cultura e modello di fare impresa e modello sociale. Al centro deve tornare il lavoro, deve tornare la persona. Non ci può essere il profitto fine a se stesso o il mercato senza regole. Deve tornare la giustizia sociale, deve tornare la solidarietà tra le persone. I diritti fondamentali, un lavoro dignitoso, la sanità che cura tutti, il diritto alla formazione, allo studio, all’apprendimento, debbono diventare diritti fondamentali che noi vogliamo mettere al centro.

L’altro giorno Giorgia Meloni, parlando all’assemblea della CISL, vi ha lanciato la frecciata parlando di visione tossica conflittuale, tra l’altro ricevendo un bel po’ di applausi dalla platea. Come rispondete voi a questo accusa?

Al di là adesso delle battute che si possono fare, credo che ci sia un punto che non può essere rimosso. Nella storia del nostro paese siamo democratici proprio per il conflitto sociale che il mondo del lavoro ha esercitato e la democrazia esiste proprio perché si riconosce una mediazione tra i diversi interessi. Non esistono solo il capitale e il profitto, esiste anche il lavoro ed esistono le persone e per questa ragione, quando è necessario, il conflitto è la condizione per potersi dire ancora un paese democratico. Il conflitto non è mai stato una cosa fine a sé stessa. Noi vogliamo fare degli accordi, vogliamo fare delle riforme, vogliamo migliorare la condizione di chi produce la ricchezza in questo paese, vogliamo combattere le diseguaglianze e vogliamo dare un futuro ai giovani. Quando si mette in discussione questo si sta dicendo che il governo vuole poter fare da solo quello che gli pare senza dover mediare, contrattare o negoziare con nessuno.
Questo è quello che noi stiamo contestando ed è sotto gli occhi di tutti. La storia lo insegna, c’è stata una crescita della democrazia e dei diritti sociali civili proprio perché le persone in carne ed ossa, donne innanzitutto e uomini, si sono battuti per ottenere quei diritti che non avevano. La crescita dei diritti nel lavoro ha sempre inciso anche con la crescita dei diritti fuori dal lavoro e nella società.
Noi abbiamo sempre pensato e continuiamo a pensare che la funzione di un sindacato degno di questo nome è pensare anche a un cambiamento della società in cui il miglioramento dei diritti e delle tutele determinano una crescita per tutti i cittadini e per tutte le cittadine.

Notizia di queste ultimissime ore. Il tesoretto che pare che salti fuori da qualche piega del bilancio. La Lega vuole rottamare le cartelle, Forza Italia vuole tagliare l’IRPEF al ceto medio. Voi cosa dite? Se c’è qualche soldo in più dove deve andare?

Deve andare ad aumentare i salari, aumentare le pensioni e deve andare a ridurre la tassazione sul lavoro dipendente e sulle pensioni. In realtà qui ci vogliono prendere per i fondelli un’altra volta, perché siamo un paese che ha 90 miliardi di evasione fiscale, un paese che ha una tassazione della rendita finanziaria e della rendita immobiliare che è esattamente la metà della tassazione che c’è sulle pensioni e sul reddito da lavoro Questo significa che noi non siamo più disponibili ad accettare un sistema fiscale fatto di condoni, di sotto-condoni, dove in un qualche modo si indica che è furbo chi le tasse non le paga, perché tanto non le pagherà mai, e le continuano a pagare i lavoratori dipendenti e i pensionati.
Noi abbiamo bisogno di andare a prendere i soldi dove sono, a partire dai profitti che sono stati fatti in questi anni, abbiamo bisogno di investire sulla sanità pubblica. La gente non ha più i soldi per curarsi, la sanità pubblica non sta funzionando, è in atto un processo di privatizzazione. I medici e gli infermieri non vengono assunti. Noi abbiamo bisogno di investire sugli asili, sulla scuola, sulla formazione. Abbiamo bisogno di investire sulla non autosufficienza, abbiamo bisogno di dare una qualità ai problemi della salute, della sicurezza sui luoghi di lavoro e quindi lì bisogna andare a prendere i soldi. Basta queste cose, tesoretto o non tesoretto. Qui c’è una quantità di soldi intoccabili, penso ai grandi profitti che sono stati fatte da banche, assicurazioni e da imprese in questi anni, e il governo di questo non sta facendo assolutamente nulla.

Il salario minimo che fine ha fatto?

È sparito anche perché il governo non lo vuol fare. Ha detto che non è d’accordo, non lo vuole introdurre, così come non vuole fare la legge sulla rappresentanza. L’articolo 36 della nostra Costituzione dice che il salario deve essere adeguato a far vivere con dignità le persone che per vivere lavorano. Oggi questo non sta succedendo.
Noi abbiamo i lavoratori, dalla sanità alla scuola ai pubblici in generale, che sono 3 anni che sono senza contratto e di fronte a un’inflazione che c’è stata in questi anni del 17%, il governo sta cercando di imporre aumenti del 6%, cioè sta riducendo il potere d’acquisto dei salari e di fatto sta cambiando la natura dei contratti nazionali. Il governo non vuole la legge sul salario minimo, ma vuole sancire per legge quasi una scala mobile al rovescio, che anziché recuperare l’inflazione strutturi la perdita del potere d’acquisto. Ed è per questo che noi non abbiamo firmato quegli accordi che il governo vuole imporre ed è per questo che chiediamo che si faccia un vero e proprio referendum. Che siano le lavoratrici e i lavoratori della sanità e del pubblico impiego a decidere se quell’offerta che il governo ha fatto è accettabile o no per risolvere per i problemi che loro hanno.

Questo è un momento molto particolare. Trump con Musk e l’oligarchia tecnocratica, con l’ondata che si ripercuote anche in Europa. Si voterà in Germania e l’estrema destra avanza anche lì.

Siamo a una diminuzione della gente che va a votare e siccome i problemi, in particolare del mondo del lavoro, sono peggiorati o non sono stati risolti, c’è da un certo punto di vista una reazione di sfiducia. Le risposte che sono state date in questi anni da chi era il governo di sinistra sono state risposte sbagliate. Le leggi sbagliate nel nostro paese non l’hanno mica fatte solo i governi di destra. Se questo elemento di precarietà e di insicurezza si determina, siamo al paradosso. La globalizzazione, pensata per far crescere i mercati senza vincoli, è entrata in crisi per i livelli di diseguaglianza che sta determinando e per il riequilibrio, perché chi andava a produrre in Cina pensando di produrre poco, oggi ha scoperto che i cinesi hanno investito e oggi sono in grado loro di produrre e di fare dei prodotti con una qualità anche superiori ad altri. Questa cosa cambia tutto il quadro in senso generale, è quello che sta emergendo, frutto di una globalizzazione sbagliata fondata su questi criteri.

Non è un caso che Trump vince perché attorno a sé i più ricchi del mondo lo stanno sostenendo. Senza i più ricchi del mondo, chi sarebbe Trump?

Esisterebbe ancora Trump e da un certo punto di vista qui c’è il tentativo di usare questa situazione per mettere al centro non gli interessi generali. Si stanno mettendo al centro gli interessi materiali di questi grandi imprenditori e del mercato del profitto. Quando alcuni di loro arrivano a dichiarare che la democrazia non è più compatibile con la libertà, hanno un’idea di libertà che è fondata sulla libertà del mercato del profitto, non la libertà fondata sulla giustizia sociale, sulla solidarietà e stanno in un qualche modo dicendo che bisogna superare di fatto la democrazia.
In questa situazione credo che mai come adesso ci sia bisogno di riunificare il mondo del lavoro, perché non c’è mai stata tanta gente come adesso al mondo che per vivere ha bisogno di lavorare. Il mondo del lavoro non è mai stato tanto frantumato, diviso, contrapposto e precarizzato come adesso. Credo che bisogna capire anche gli errori che sono stati fatti in questi anni e per quello che ci riguarda anche la battaglia che facciamo nel nostro paese di rimettere al centro il lavoro significa affermare un altro punto di vista, un altro modello possibile di società fondata sulla solidarietà e sulla giustizia sociale. È questa la cultura che credo, secondo me, bisogna difendere e bisogna praticare.

Siamo a poco meno di due mesi dal 25 aprile. È una giornata più di memoria o di ricordo? O deve essere una giornata più di attualità, di valori della resistenza portati ad oggi?

No, io penso che ci sia bisogno non soltanto di ricordare quello che abbiamo fatto, ma fare i conti con quello che sta succedendo. E da un certo punto di vista è il momento di affermare anche una nuova idea di antifascismo, che sia proprio fondata su un concetto di libertà, come dice la Costituzione, fondata sulla solidarietà. Io credo che se andiamo a vedere, in questi anni, da un certo punto di vista è passata un’idea di libertà che non è quella sancita dalla Costituzione. La libertà non è la libertà del mercato di fare quello che gli pare, è una libertà che mette al centro la solidarietà, l’aiuto tra le persone e la giustizia sociale. Oggi non c’è solo da ricordare com’è stato importante 80 anni fa sconfiggere il nazismo e il fascismo e costruire la Costituzione. Bisogna avere l’umiltà di tornare ad ascoltare le persone, analizzare quello che sta succedendo e costruire assieme alle persone in carne ed ossa un modello sociale e di libertà fondato sulla partecipazione, sulla democrazia, sul voto, ma anche sulla giustizia sociale.

  • Autore articolo
    Alessandro Principe
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    Il 2 marzo il governo israeliano ordinava il blocco totale dell’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Oggi, esattamente due mesi dopo, il blocco è ancora in essere e da due mesi nella Striscia non entra niente: né cibo, né acqua, né medicinali, né carburante. La situazione peggiora giorno dopo giorno, le scorte sono ormai esaurite e la fame sta dilagando. In questo contesto di blocco totale, il più lungo che Gaza abbia mai sperimentato, dove morire di fame non è più solo un modo di dire, le ong e le organizzazioni umanitarie cercano di sopperire alle colpevoli mancanze dei governi. È in quest’ottica che la nave della Freedom Flotilla Coalition, si stava preparando a partire per Gaza carica di aiuti umanitari, con l’obiettivo di rompere l’assedio. Questa notte, però, la nave è stata colpita da due droni, che hanno fatto scoppiare un incendio e ne hanno ovviamente impedito la partenza. Abbiamo raggiunto a Malta Simone Zambrin, attivista di Freedom Flotilla, che si sarebbe dovuto imbarcare oggi per andare verso Gaza.

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    Il Comitato Sì Meazza presenta un esposto alla Corte dei conti contro il nuovo stadio

    Non è arrivata nessuna proposta alternativa. Quella presentata da Inter e Milan è rimasta l’unica offerta per l’acquisto dello stadio di San Siro e delle aree vicine al “Meazza”. Il Comune di Milano lo ha comunicato, alla mezzanotte del 30 aprile, alla scadenza dell’avviso pubblico per la raccolta di manifestazioni d’interesse. Un esito prevedibile, dal momento che la finestra è rimasta aperta per poche settimane. Ora proseguiranno i lavori della Conferenza dei servizi, già iniziati quando potevano arrivare anche altre proposte. Il fronte di chi si oppone ai piani dei due club e a come la giunta comunale sta gestendo la vicenda tenta ancora di interrompere il percorso avviato. Oggi il comitato Sì Meazza, dopo aver già fatto un esposto alla Procura, ha inviato alla Corte dei conti una segnalazione perché indaghi per danno erariale, chiamando in causa il Comune. Luigi Corbani del comitato Sì Meazza spiega perché ha depositato questa segnalazione.

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    1) Gaza senza cibo da due mesi. Il blocco israeliano agli aiuti continua indisturbato mentre la fame dilaga tra la popolazione. Nella notte colpita con droni la nave della Freedom Flotilla, che voleva portare aiuti nella striscia. (Sami Abu Omar, Simone Zambrin - Freedom Flotilla) 2) Guerra in Ucraina. Secondo le Nazioni Unite la situazione lungo il fronte è peggiorata da quando sono iniziati i negoziati per il cessate il fuoco. In esteri la testimonianza da Sumy. 3) Germania, i servizi segreti classificano Afd come partito estremista. I leader del partito rispondono: azione politica, ci difenderemo. (Alessandro Ricci) 4) L’effetto Trump sulle elezioni nel pacifico. Domani Australia e Singapore al voto. In entrambi i casi i dazi americani hanno ribaltato i sondaggi. (Lorenzo Lamperti) 5) Mondialità. La partita sul clima si gioca tra Usa e Cina. (Alfredo Somoza)

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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