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La rivincita di Penati

“Oggi gli amici sono aumentati. ogni volta che ci arrivano buone notizie aumentano”.

E’ soddisfatto Filippo Penati dopo l’archiviazione di tutte le accuse a suo carico per il caso Serravalle su richiesta della stessa Procura di Monza, per infondatezza della notizia di reato e per insufficienza degli elementi raccolti a sostenere l’accusa nel processo.

Penati approfitta di questa intervista con Radio Popolare e attacca il partito che lo ha espluso, il Pd. Un partito, denuncia Penati, i cui vertici nazionali lo hanno trattato con quella che definisce “incomprensibile codardia”.

“A livello locale invece -distingue Penati- molte persone mi hanno dato grande solidarietà, si sono rivelate amiche, altre no. Questa vicenda ha fatto da setaccio”.

Oggi Penati insegna l’italiano ai migranti minorenni, in una comunità alloggio. Ma alla politica, e al Pd, rimane molto attento.

Il giudizio sul partito milanese è impietoso:

Il Pd milanese sta scomparendo -incalza Penati – è un partito sbiadito, diviso, di un conformismo spaventoso. Non c’è alcuna elaborazione politica autonoma. E’ un partito balcanizzato, gestito sulle previsioni di percorsi di carriera personali”.

Anche il renzismo non piace a Penati, il quale in questa intervista annuncia che voterà no al referendum sulla riforma costituzionale. Per l’ex sindaco di Sesto San Giovanni il Pd è a forte rischio di implosione. “Un partito che si regge su un uomo solo alcomando è irriformabile, un rinnovamento non può essere fondato solo sul dato anagrafico, se Renzi lega il futuro ala sua figura, il futuro per il Pd non c’è”.

Renzi, però, nell’analisi di Penati è anche il prodotto della incapacità del gruppo dirigente di cui ha fatto parte di coltivare un ricambio generazionale:

“Renzi ha avuto coraggio ma ha trovato un’autostrada aperta perché il gruppo dirigente della mia generazione non ha mai promosso nessun rinnovamento, non ha mai avuto voglia di creare davvero una classe dirigente ricambio. Il Pci -dice Penati- anche la Dc e i grandi partiti di massa sempre stati capaci di rinnovare le classe dirigenti. Oggi siamo alla stretta finale: se al referendum vincerà il Sì, ci sarà ancora meno democrazia interna. Se vince il No, si rischia la dissoluzione“.

Ascolta l’intervista a Filippo Penati a cura di Luigi Ambrosio

Filippo Penati 28 luglio 2016

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