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“La miglior fabbrica di indipendentisti? La Spagna”

A tre giorni dal referendum sull’indipendenza della Catalogna non è ancora chiaro se e come i catalani potranno votare.

Di sicuro i fatti di queste ultime settimane hanno fatto crescere l’appoggio al referendum. Non necessariamente all’indipendenza dal resto della Spagna ma sicuramente al diritto all’autodeterminazione.

Dall’estero, però, la questione catalana è ancora piuttosto difficile da comprendere. L’opinione pubblica europea non ha ancora capito per quale motivo nel cuore dell’Europa ci sia una regione che vuole costruire un suo Stato.

Per cogliere l’essenza di questo processo è necessario avere ben chiara la storia della Catalogna e di tutta la Spagna, fino ai giorni nostri. Abbiamo chiesto aiuto allo scrittore catalano Joan Queralt.

“Innanzitutto vorrei fare una precisazione. Quando parliamo del conflitto generato dalla convocazione del primo di ottobre, si fa riferimento al referendum che un mese fa cercava di conoscere l’opinione della società catalana circa la possibilità di rimanere o meno nello Stato spagnolo. In sintesi, parlavamo del diritto dei cittadini di esprimersi e decidere. Votare e votare per l’indipendenza erano cose molto diverse. Un mese dopo, gli attacchi e le offese del governo spagnolo hanno cambiato la situazione. L’80 per cento dei catalani vuole andare a votare ed è aumentata la volontà indipendentista. La torbidezza di Madrid ha legittimato questo cambio. Il conflitto catalano ha esposto alla luce le cuciture del modello democratico del Paese, i suoi limiti, il fallimento della salute democratica.
Sullo sfondo, ciò che sottende è il conflitto tra evoluzione e immobilità, tra il pieno riconoscimento dei diritti sociali e una visone autoritaria del potere. Insomma, tra la costruzione di una democrazia reale e il mantenimento di una democrazia limitata, soggetta a una certa visione ideologica, incapace di rispondere alla richiesta di una parte della società. Ciò che oggi accade in Spagna non è solo un problema tra il nazionalismo catalano e al nazionalismo spagnolo. E’ in sostanza il contrasto tra un progetto di sviluppo che guarda al XXI secolo e un progetto che mira a rimanere ancorato a una visione politica più vicina al XIX secolo. E questa per me è la radice concettuale del problema. In questo contesto l’indipendenza è diventata la bandiera di una parte importante della società catalana per portare avanti questo progetto di cambiamento. Una parte sostanziale della Catalogna non ha scelta alla subordinazione a una Spagna che si oppone a qualsiasi riforma, a una classe politica che non ha altro progetto di futuro se non quello che nacque quasi mezzo secolo fa, e che oggi è definitivamente esaurito. Chiede una democrazia che risponda alle sfide del terzo millennio, nel campo della politica, dell’economia, delle leggi, dei diritti, della libertà. Chiede infine di decidere il proprio destino”.

Per quale motivo molti catalani – anche un mese fa, e forse un anno fa, due anni fa – volevano in ogni caso l’indipendenza? 

“Si parla sempre di indipendentismo e nazionalismo. Ma non necessariamente vanno insieme. Infatti ci sono molti catalani che, senza essere nazionalisti, vogliono uno Stato proprio, di segno repubblicano. Da questo punto di vista per questi catalani gli elementi essenziali dell’indipendenza, al di là delle questioni legate all’identità, lingua, cultura, motivi storici, si basano sul diritto di essere Stato, di avere le loro leggi, di gestire la loro economia, le loro risorse, la loro fiscalità, la politica sociale con piena autonomia. Le decisioni imposte dallo Stato spagnolo ogni volta sono comprese dalla società catalana come una zavorra. Un anno fa, cinque anni fa la Catalogna non aveva questo sentimento nazionalista”.

Quali sono in questo momento, secondo il tuo sentire, i sentimenti prevalenti nella società catalana?

“La sensazione più forte a Barcellona e nel resto della Catalogna è quella di indignazione e totale rifiuto alla reazione del governo spagnolo, al Partito popolare e a una certa Spagna incapace di soddisfare le aspirazioni dei catalani. Madrid ha voluto risolvere il problema catalano con politiche tipiche dei regimi colonialisti, il cui risultato non è altro che ampliare le basi della rivolta catalana. Indignazione e rifiuto che hanno moltiplicato i desideri di autonomia e indipendenza rispetto alla Spagna del Partito popolare, senza dubbio la migliore fabbrica di indipendentisti che è esistita nel Paese negli ultimi anni. Certo, ci sono anche sensazioni di incertezza sul futuro immediato, è ovvio”.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    1) “Gaza brucia di fronte al suo mare, testimone della sua tragedia”. L’esercito israeliano ha lanciato l’offensiva di terra sulla principale città della striscia. L’esodo in mezzo alle bombe. Quasi 90 i morti da questa mattina. (Valeria Schroter) 2) Israele come Sparta. Mentre l’ONU stabilisce che quello in corso a Gaza è genocidio, Netanyahu ammette l’isolamento internazionale e dipinge un futuro di autarchia e guerra permanente. (Anna Foa, Eric Salerno) 3) Gli Stati Uniti continuano a colpire il Venezuela. Trump punta a rovesciare il regime di Maduro con la scusa della lotta al narcotraffico. (Alfredo Somoza) 4) Cinquant’anni fa l’indipendenza della Papua Nuova Guinea. Il paese oggi è vittima della maledizione della ricchezza e rischia di finire ostaggio di un nuovo braccio di ferro tra occidente e Cina. (Chawki Senouci) 5) Spagna, l’estrema destra torna a riunirsi a Madrid. Il primo passo verso una grande alleanza di tutte le destre europee. (Giulio Maria Piantadosi) 6) Rubrica Sportiva. Julia Paternain, la maratoneta uruguayana entra nella storia vincendo la prima medaglia ai mondiali di atletica per il paese sudamericano. (Luca Parena)

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