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La guerra di Orbàn. Con la scusa del terrorismo

Il governo ungherese conferma il suo interventismo sul fronte migranti. E teme la minaccia del terrorismo. Minaccia legata secondo Budapest al fenomeno migratorio che in questi mesi mette a difficile prova la comunità internazionale. L’esecutivo danubiano sostiene di essere stato l’unico ad aver rispettato gli accordi di Schengen e di aver quindi fatto del suo meglio per difendere non solo il proprio territorio ma i confini europei dagli imponenti flussi migratori che secondo il primo ministro Viktor Orbán mettono a rischio l’esistenza del Vecchio Continente. Sia dal punto di vista culturale che dal punto di vista politico-economico. Senza contare l’appena menzionata minaccia terroristica che per le autorità ungheresi è concreta.

Per questo motivo Orbán ritiene sia giunto il momento di dotarsi degli strumenti adatti a fronteggiare questo pericolo e vuole che al governo da lui presieduto vengano attribuiti poteri speciali. Il premier ha fatto questa dichiarazione alla radio pubblica all’inizio della settimana e precisato che, in presenza di informazioni su attentati terroristici in preparazione, l’esecutivo potrebbe decidere di dichiarare lo stato di emergenza, il coprifuoco, vietare trasmissioni via radio e tv, spegnere Internet, dar luogo a perquisizioni domiciliari anche senza mandato ed eseguire arresti, se la situazione lo rendesse necessario.

Tutto questo se il governo fosse dotato di poteri speciali per affrontare la minaccia. Perciò il Fidesz, partito guida dell’esecutivo, ha presentato in Parlamento una proposta di legge con una modifica alla Costituzione. Di fatto, però, le forze di governo non dispongono più della maggioranza parlamentare di due terzi e l’opposizione di centro-sinistra è contraria a questo provvedimento. Essa ritiene inopportuno che il governo sia dotato di poteri eccezionali col pretesto della sicurezza nazionale e della minaccia del terrorismo, per questo non intende votare a favore della proposta di legge.

Il primo ministro, però non si scoraggia e intende dar luogo a un referendum per avere la meglio sull’opposizione che dall’inizio della crisi migranti critica severamente l’operato delle forze governative. Anche nella scorsa tarda primavera l’esecutivo guidato da Viktor Orbán si è rivolto ufficialmente alla popolazione per conoscere il suo punto di vista sui rischi legati ai flussi migratori. L’iniziativa è stata battezzata “Consultazione nazionale sull’immigrazione e il terrorismo” e realizzata sotto forma di questionario con domande tese a presentare in modo negativo la figura del migrante e a sottolineare solo i pericoli legati al fenomeno.

L’iniziativa è stata a suo tempo criticata duramente dall’opposizione di centro-sinistra e dalle organizzazioni progressiste della società civile che hanno stigmatizzato il nesso tra immigrazione e terrorismo e la precisa volontà del governo di incoraggiare sentimenti xenofobi e razzisti tra la popolazione. Sempre a primavera inoltrata sono comparsi a Budapest e nelle altre città del paese cartelloni governativi con su scritte come “Se vieni in Ungheria non puoi portare via il lavoro agli ungheresi”, rivolte ai migranti. Anche questa iniziativa è stata oggetto di critiche da parte degli avversari di Orbán, ma il governo è andato avanti per la sua strada ed ha fatto ricorso ai reticolati di filo spinato per proteggere i confini interessati dall’arrivo dei migranti.

Del resto il primo ministro ha più volte avuto modo di dire di non considerare i flussi migratori come un fatto positivo né dal punto di vista culturale né dai punti di vista sociale ed economico. Oggi il premier ungherese si trova d’accordo con il suo omologo polacco Beata Szydło nell’affermare che bisogna chiudere i confini meridionali di Schengen e fermare l’immigrazione di massa. Budapest e Varsavia convergono anche sul Brexit e sulle richieste di riforme fatte da Londra.

Osservatorio Sociale Mitteleuropeo

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    Massimo Congiu
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    Questa settimana Elijah Wald è in Italia per portare sul palco, tra Milano, Torino e Piacenza, le sue storie su Bob Dylan e il Greenwich Village di New York. Chitarrista folk blues ma anche narratore e giornalista musicale, attraverso canzoni e racconti Wald ripercorre nel suo spettacolo il cammino di Dylan e dei tanti personaggi di quel periodo irripetibile. Da Woody Guthrie a Pete Seeger, da Eric Von Schmidt a Dave Van Ronk - quest’ultimo anche protagonista del film dei fratelli Coen “A proposito di Davis” e realizzato partendo proprio dal memoir scritto da Wald. Oggi Elijah è venuto a trovarci a Radio Popolare per raccontarci la sua storia e suonarci alcuni brani tra Mississippi John Hurt, Paul Clayton e Victor Jara. Ascolta l’intervista e il MiniLive di Elijah Wald.

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    Una mostra fotografica ripercorre i 50 anni di Radio Popolare. Dal 14 dicembre a Milano

    Domenica 14 dicembre alle ore 10, presso la Sala Cisterne della Fabbrica del Vapore, a Milano, inaugura la mostra "50 e 50. La mostra. Radio Popolare 1975 - 2025", una delle prime iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione di Radio Popolare. La mostra racconta i cinque decenni "di onda" attraverso venti storie realizzate dai fotografi che in questi anni sono stati vicini alla radio. Inoltre, la mostra ospiterà un’interpretazione creativa realizzata da Studio Azzurro dei video che ricostruiscono la storia di Radio Popolare. La mostra sarà allestita fino al 25 gennaio. Tiziana Ricci ce la racconta insieme a Giovanna Calvenzi, che ne è la curatrice.

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