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“La guerra al terrore? Una politica sbagliata”

“Arroganti”. “Intransigenti”. Dei “culi d’acciaio”.

E’ molto duro il giudizio che George HW Bush, vice-presidente ai tempi di Ronald Reagan, lui stesso presidente, dà dei principali collaboratori del figlio George W ai tempi dell’11 settembre: Dick Cheney e Donald Rumsfeld. Con la loro radicalità, con una reazione eccessiva e immotivata, Cheney e Rumsfeld avrebbero, secondo Bush senior, “danneggiato l’amministrazione” del figlio.

I giudizi sono contenuti in una nuova biografia del 41esimo presidente degli Stati Uniti, Destiny and Power: The American Odissey of George Herbert Walker Bush, scritta da Jon Ellis Meacham, vice-presidente di Random House e commentatore di politica e storia americana. Il libro è frutto di una serie di registrazioni effettuate quando Bush era ancora alla Casa Bianca, oltre che di interviste successive con lo stesso presidente e la moglie Barbara.

Dick Cheney fu segretario alla difesa durante gli anni dell’amministrazione di Bush padre, tra il 1989 e il 1993; poi nominato vice-presidente quando il figlio George salì alla Casa Bianca. Bush senior lo conosce quindi bene e oggi dice a Meacham: “Non so, Dick è diventato molto intransigente, diverso dal Cheney che io avevo conosciuto e con cui avevo lavorato”. In un passaggio, ipotizza anche che il suo vecchio collaboratore sia stato “radicalizzato” dall’intervento delle due donne più importanti della sua vita: la moglie Lynne e la figlia Liz.

“Non so, tutta quella reazione all’11 settembre… – continua il vecchio Bush -. Che cosa fare in Medio Oriente… Dei culi d’acciaio… Mi è sembrato che Dick cercasse di rimboccarsi le maniche di fronte a quella gente che voleva fare la guerra su tutto, che voleva usare la forza per dettare la nostra politica in Medio Oriente”. Bush sembra anche in qualche modo sospendere il giudizio sull’operato del figlio George. Meglio, preferisce non darlo, il che rappresenta forse una sconfessione ancora più forte: “E’ mio figlio, ha fatto del suo meglio”.

In un solo momento il giudizio del padre nei confronti del figlio diventa duro. Quando Bush critica George W per aver dato troppo credito a Cheney, per avergli permesso di costruire una sorta di “proprio dipartimento di stato” e aver consentito che il vice-presidente gettasse nell’arena dello scontro politico, e di un’America travolta da paure, sospetti, incertezza, “un linguaggio violento che ha infiammato ancora più la situazione”.

Dalle pagine del libro emerge chiaramente come il vecchio establishment repubblicano della East Coast abbia sopportato con fastidio l’emergere nel partito di quella componente di “falchi” che trovarono nell’ideologia neo-conservatrice del Project for the New American Century la propria fonte di ispirazione. “Una retorica violenta magari può conquistare le prime pagine dei giornali – spiega oggi Bush – ma non risolve necessariamente i problemi diplomatici”.

Severo è poi il giudizio del vecchio presidente, che oggi ha 91 anni, nei confronti del celebre discorso con cui il figlio George, nel Discorso sullo Stato dell’Unione del 2002, parlò dei Paesi “dell’asse del male”: Iraq, Iran, Corea del Nord. “Forse, da un punto di vista storico, quel discorso si rivelerà pochissimo produttivo”.

Se le parole di Bush nei confronti di Cheney, vecchio amico e collaboratore, sono dure, ancora più sferzanti appaiono i commenti riservati a Donald Rumsfeld, segretario alla difesa ai tempi di George figlio. “Si tratta di un tipo arrogante – spiega l’ex-presidente – non mi è piaciuto quello che ha fatto, e ha danneggiato il presidente. D’altra parte io non gli sono mai stato vicino. In lui c’è una mancanza di umiltà, di considerazione per quello che gli altri pensano. E’ uno cui piace comandare, ma a penso che alla fine non abbia fatto bene a George”.

Rumsfeld, almeno sinora, non ha voluto commentare le parole di George HW. Una risposta è invece arrivata da Dick Cheney, che ha detto di considerare l’epiteto di “culo d’acciaio” come “un complimento”. “Gli attacchi dell’11 settembre – ha aggiunto Cheney – sono stati ancora peggio di Pearl Harbor, in termini di vittime e di danni. Penso, ancora oggi, di essere stato nel giusto a portare avanti quel tipo di politiche”.

Più imbarazzato è stato invece il commento di George W. “Mio padre non mi ha mai detto ‘ehi, tieni a bada Cheney’. Non sarebbe stato nel suo stile”. Bush figlio si prende oggi tutta la responsabilità di quanto fatto dopo l’11 settembre: “ho preso le decisioni. Era la mia filosofia”, anche se riconosce che “le parole dure che dissi possano aver urtato qualcuno, incluso mio padre”.

Resta comunque che le dichiarazioni contenute nella biografia dell’ex-presidente siano una sconfessione della politica sostenuta dall’amministrazione americana dopo l’11 settembre. Una sconfessione tanto più importante, perché arriva proprio dall’interno, dal “circolo di famiglia” che a quella politica presiedette.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    L’Europa e il bellicismo crescente delle sue classi dirigenti. L’ultimo caso, quello dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone e la postura aggressiva che dovrebbe tenere la Nato. Cosa possono fare il pensiero e la cultura della pace per contrastare l’escalation bellicista e la normalizzazione della violenza? Le risposte possono non essere quelle consuete, soprattutto perché in Occidente stiamo assistendo ad un cambio delle coordinate geopolitiche costruite negli ultimi ottant’anni. Un esempio. Il settimanale «The Economist» ha scritto nella sua rubrica di geopolitica «The Telegram» apparsa oggi sulle pagine online: «In Europa le preoccupazioni per l’inaffidabilità dell’America sotto Donald Trump stanno lasciando il posto a un timore più grande: che, pur presentandosi come il campione della civiltà occidentale, egli consideri ormai le democrazie occidentali reali come avversarie. “Nella Washington di oggi” - scrive il nostro editorialista di The Telegram - l’Europa “è spesso descritta con maggiore disprezzo rispetto alla Cina o alla Russia”. Pubblica oggi ha ospitato Donatella Della Porta, scienziata della politica, e Agostino Giovagnoli, storico.

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