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La democrazia occidentale secondo David Graeber (1961-2020)

David Graeber - Democrazia Occidentale

È in gran parte il frutto della mia esperienza nel movimento anti-globalizzazione, o meglio per una globalizzazione alternativa il cui dibattito si è spesso focalizzato su tematiche connesse alla democrazia. Gli anarchici in Europa e in Nord America e le organizzazioni dei popoli indigeni nel Sud del pianeta si sono trovati ad affrontare quesiti molto simili. La democrazia è un concetto intrinseco all’idea stessa di Occidente? La democrazia occidentale si riferisce a una forma di governance, ovvero una modalità di auto organizzazione comunitaria oppure a una forma di governo ovvero una specifica configurazione di apparati statali? La democrazia occidentale implica necessariamente il dominio della maggioranza? La democrazia rappresentativa è realmente democratica? Il modo in cui viene concepita è irrimediabilmente contaminato dalle sue origini dell’Atene classica, cioè in una società militarista e schiavista basata sulla sistematica oppressione delle donne? O, più esattamente, ciò che noi chiamiamo oggi democrazia storicamente ha a che vedere con la democrazia ateniese? È possibile riscattare il pianeta con forme decentralizzate di democrazia diretta basate sul consenso? Se lo è, come faremo a convincere la maggior parte della gente del pianeta che la democrazia non ha nulla a che fare con l’elezione dei propri rappresentanti? Se non lo è, e dunque accettiamo la definizione prevalente applicando ad altre modalità il termine democrazia diretta, come facciamo ad affermare che siamo contro la democrazia, una parola che ha così tante connotazioni positive universalmente accettate?

Si apre così uno dei libri più famosi di David Graeber, “Critica della democrazia occidentale. Nuovi movimenti, crisi dello stato, democrazia diretta“, l’antropologo, anarchico e professore influente alla London School of Economics scomparso prematuramente a Venezia.

Graeber era stato ospite di Radio Popolare nel 2012 e in quell’occasione fu intervistato da Ira Rubini. Vi riproponiamo di seguito l’intervista integrale.

In “Critica della democrazia occidentale” sostiene che “non c’è mai stato un Occidente“. Cosa significa?

In realtà il cosiddetto concetto della civiltà occidentale di per sé non è mai stato molto chiaro. Certe volte la Russia ne fa parte oppure non ne fa parte, la Germania ne ha fatto parte solo un po’. Questa idea dell’Occidente è in realtà un’idea molto recente, definitivamente assurta all’attenzione del grande pubblico dopo la Prima Guerra Mondiale, anche con gli interventi degli americani che, in qualche modo, hanno creato un collegamento fra l’Europa e gli Stati Uniti come se l’Europa e gli Stati Uniti fossero la stessa cosa. In realtà questa definizione di Occidente di per sé non ha senso, soprattutto perché viene utilizzata in tanti modi diversi, talvolta culturali, talvolta intellettuali e talvolta razziali.

Questo concetto di per sé poco chiaro può essere applicato anche al concetto di democrazia, e in particolare di democrazia occidentale. In che senso?

Molti di noi pensano che la democrazia sia nata ad Atene, nell’antica Atene, e che quello fosse il posto in cui improvvisamente si è avuta questa straordinaria intuizione che ci si poteva riunire in una piazza per prendere delle decisioni collettive. E che poi, pian piano, questo concetto di democrazia sia virato verso l’Occidente arrivando fino al nord dell’Atlantico.
Però anche in questo senso, tornando al concetto di occidentale, bisogna ancora una volta ribadire che questo concetto ha davvero dei tratti molto confusi. Se è una tradizione intellettuale è chiaro che si sposta continuamente, ma quindi non si sposta soltanto verso ovest, anche verso est. I paesi arabi, per esempio. Nessuno di noi pensa che nelle università arabe si studia Aristotele, esattamente come lo si studia in Occidente. E tra l’altro moltissimi intellettuali, almeno fino alla seconda metà dell’800, erano molto spesso contrari al concetto di democrazia, almeno nella stragrande maggioranza dei casi. Anche il concetto di un elemento culturale che unifica l’Occidente e ci rende tutti democratici è relativo, perché se noi possiamo sentirci collegati all’antica Grecia come patria della democrazia, molto meno magari ci sentiamo collegati alla Grecia di oggi, che talvolta addirittura alcuni popoli dell’Occidente ricco non considerano nemmeno come completamente democratica.

David Graeber si è molto concentrato sulla delega che noi diamo a delle persone per rappresentarci e gestire politicamente la cosa pubblica per noi.

Anche qui il discorso è abbastanza complicato. Prendiamo ad esempio le Costituzioni americane e francesi. Coloro che hanno scritto quelle Costituzioni in realtà non stavano affatto pensando alla democrazia diretta così come la si intende in senso ateniese, pensavano piuttosto una forma repubblicana che, in qualche maniera, contenesse degli elementi di democrazia. Più pensando all’antica Roma che non all’antica Atene.
Se si pensa poi alla Dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti non v’è traccia di riferimenti democratici. È soltanto dopo il 1830 che, per una serie di motivi anche economici e commerciali, i repubblicani cominciarono ad avere l’etichetta anche di democratici, ad unire i due concetti insieme.

Un altro libo molto famoso di David Graeber è stato “Debito. I primi 5000 anni“, un’analisi di come il problema del debito sia antichissimo e risalga addirittura alla Mesopotamia.

Il concetto di credito, che determina anche il concetto di debito, è un concetto molto antico. E il concetto di denaro contante, del pagare subito, è un concetto che in realtà non appartiene soltanto al nostro tempo. Noi abbiamo l’impressione che il poter pagare online sia una conquista che abbiamo grazie alle tecnologie. È vero, ma il concetto di credito nell’antica Mesopotamia era il sistema abituale per pagare. Si pagava a credito. Il denaro contante è arrivato migliaia di anni dopo.

Che atteggiamento suggerisce agli individui e ai piccoli gruppi su cui si è molto concentrato nel suo lavoro di ricerca sociale nei confronti di problemi globali come il debito.

Anche qui ci sono vari livelli per considerare l’atteggiamento che dovremmo tenere nella nostra quotidianità. Certo, il debito è una promessa particolare resa perversa dalla congiunzione di matematica e violenza, due elementi che quando su uniscono diventano molto pericolosi.
Ecco perchè in qualche maniera il fatto che il debito di questo tipo possa essere trasferito ad altri, e quindi in qualche modo perda la personalizzazione della promessa, lo rende particolarmente complicato. Però bisogna ricordare che una promessa in denaro non è diversa dalle altre promesse e che è possibile pensare, come si rinegoziano le promesse dei politici, di rinegoziare anche le promesse dei debiti in denaro. Tutti sono d’accordo nel considerare il denaro come qualcosa di virtuale, almeno ai giorni nostri. Era un po’ meno facile rinegoziare le cose nei tempi in cui il denaro era moneta sonante, fatto d’oro e d’argento. Ma, come abbiamo visto nel 2008, con una bacchetta magica si possono fare trilioni di dollari con un semplice movimento. Sarebbe il caso di ricominciare a pensare se si può rinegoziare il debito.

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    Dopo il taglio ai fondi antismog da Meloni e Salvini meno soldi ai trasporti lombardi

    Dopo la sforbiciata da 270 milioni in tre anni ai fondi per le politiche anti inquinamento, arriva la conferma che dal governo Meloni arriveranno fondi insufficienti anche per il trasporto pubblico locale. La Lombardia è particolarmente penalizzata e se n’è accorto persino il presidente della giunta lombarda Attilio Fontana che ora chiede più risorse al Governo. La Lombardia riceve il 17,6% delle risorse nazionali destinate al trasporto pubblico, una quota che sembra destinata a non aumentare. Il risultato per chi si muove sui mezzi pubblici è che, sia con la mano del governo nazionale, sia con quello di quello regionale, i fondi sono insufficienti. E davanti ai finanziamenti insufficienti tocca ai comuni integrare con fondi propri. Per le opposizioni di centrosinistra la destra è incapace di risolvere i problemi dei cittadini. La denuncia di Simone Negri, consigliere regionale del Pd che si occupa di trasporti.

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    La giovane età di vittima e assassino non era un’anomalia. Due anni dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin i dati lo confermano: si abbassa progressivamente l’età di chi agisce e subisce violenza. Qualcosa non funziona, forse, nel passaggio generazionale anche da parte di chi si sente assolto. Servirebbe parlarne a scuola? Si, ma soltanto con l’autorizzazione delle famiglie, secondo la destra. Cioè di quei soggetti all’interno dei quali, quando c’è, la violenza viene esercitata. Ospiti: Elisabetta Canevini, Presidente quinta sezione penale del Tribunale di Milano; Lara Pipitone, insegnante, conduttrice di “Fuori Registro” su RP; Lorenzo Gasparrini, filosofo, formatore per la Fondazione Giulia Cecchettin. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

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