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“La Crimea tornerà sotto il controllo di Kiev”

Tre anni fa, proprio in queste settimane, a cavallo tra febbraio e marzo 2014, la violenza faceva il suo ingresso nella crisi ucraina. Prima i fatti di Maidan, con decine di manifestanti uccisi nel centro di Kiev, poi la rapida annessione della Crimea da parte della Russia, infine i primi disordini nell’est del paese.

Da allora le cose non sono migliorate. Il conflitto nel Donbas ha fatto quasi 10mila morti e gli accordi di Minsk (febbraio 2015) sono rimasti lettera morta. In questi giorni esercito ucraino i ribelli filo-russi sono tornati a spararsi. Molti aspettano di capire cosa farà l’amministrazione Trump, e soprattutto come imposterà le relazioni con la Russia.

Di tutto questo abbiamo parlato con l’ambasciatore ucraino in Italia, Yevhen Perelygin.

Ambasciatore Perelygin come ricorda i fatti di Maidan del febbraio 2014?

Nessuno di noi immaginava che una manifestazione pacifica per i valori europei sarebbe stata violentemente repressa dalla polizia. Così come nessuno di noi poteva prevedere che la scelta del popolo ucraino, per un sistema democratico, avrebbe provocato l’aggressione militare della Russia. Dobbiamo poi ricordare che tre anni fa in Ucraina si sono scontrate due visioni globali: da una parte democrazia e diritti umani, dall’altra dittatura e ritorno al passato imperialista. Alcuni la chiamano la guerra silenziosa, altri la guerra dimenticata, altri ancora la nuova Guerra Fredda. Ma il fatto è sempre lo stesso: l’annessione della Crimea da parte della Russia e l’occupazione militare di una parte del Donbas hanno fatto più di 12mila morti, 30mila feriti, un milione e mezzo di rifugiati.

Realisticamente pensa che la Crimea possa tornare sotto il controllo del governo ucraino?

La Crimea è Ucraina. Non è mai stata riconosciuta come territorio russo. Al momento è solo un territorio occupato dalla Russia.

Tutto molto chiaro. Ma ancora una volta, realisticamente pensa che in un futuro non troppo lontano la Crimea possa tornare nuovamente sotto il governo di Kiev?

Io penso di sì. Ci sono diversi esempi di territori occupati da uno stato estero che poi sono stati restituiti, per esempio i paesi baltici occupati dall’Unione Sovietica. E in ogni caso sono convinto che con lo sviluppo dell’Ucraina come paese europeo e democratico e con la pressione della comunità internazionale sulla Russia la Crimea tornerà anche fisicamente in Ucraina.

Ho sempre avuto la convinzione che nella crisi ucraina ci siano tante responsabilità. Lei pensa che in questi anni il suo governo abbia fatto degli errori, soprattutto nel Donbas?

Molti pensano che il governo ucraino non abbia fatto tutto quello che la gente si aspettava. Io stesso ho sempre desiderato che i cambiamenti fossero molto più veloci. Ma la vita è diversa. È impossibile addormentarsi in uno stato vecchio e la mattina dopo svegliarsi in un paese nuovo. Comunque ci sono state più riforme negli ultimi 3 anni rispetto ai precedenti 23 anni della nostra storia.

Molti nell’Est del paese, pur non appoggiando i ribelli filo-russi, si sono sempre lamentati del fatto che le autorità centrali non siano mai state capaci di cogliere le loro istanze, le loro preoccupazioni, le loro paure. Per esempio sulla questione della lingua e della cultura che li lega alla Russia.

Mi spiace ma su questo non sono d’accordo. Questa è una visione imposta dall’esterno. Si usa l’insoddisfazione per i problemi economici, sociali e anche culturali per raggiungere alcuni obiettivi. L’attuale governo cerca soluzioni ai problemi che abbiamo ereditato dal periodo precedente alla rivoluzione della dignità di 3 anni anni fa. E poi nessun problema vale la vita di una persona.

Nelle ultime settimane gli scontri nell’Est dell’Ucraina sono ripresi in maniera piuttosto intensa. Sulla carta si dovrebbero applicare gli accordi di Minsk, del febbraio 2015, ma le parti li interpretano in maniera diversa. Il governo ucraino vuole prima il disarmo dei gruppi armati, i filo-russi vogliono prima elezioni locali e una riforma costituzionale con una marcata autonomia per le loro regioni. Cosa succederà?

Anche io penso ci siano problemi d’interpretazione degli accordi di Minsk. Noi siamo convinti che per poter realizzare tutti i punti di quell’intesa siano necessarie pace e sicurezza. Come pensa di poter organizzare elezioni se non c’è sicurezza per la popolazione civile?

Quindi prima il controllo del territorio da parte di Kiev e solo dopo elezioni locali e nuova costituzione?

Prima tutti i soldati stranieri devono uscire dal nostro territorio. Solo dopo potremo organizzare elezioni.

Ambasciatore un’ultima questione. Immagino che il suo governo, come molti altri, stia aspettando di capire l’approccio alla crisi ucraina e ai rapporti con la Russia da parte della nuova amministrazione americana. Giusto?

Gli ultimi comunicati della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato confermano chiaramente che l’obiettivo dell’amministrazione Trump è ottenere la restituzione della Crimea all’Ucraina e arrivare alla pace nel Donbas.

Quindi non temete che con Trump gli Stati Uniti si avvicinino troppo alla Russia?

Si avvicineranno alla Russia per convincerla a rispettare al 100% gli accordi di Minsk. Siamo soddisfatti del fatto che l’amministrazione Trump e i paesi europei abbiano confermato la necessità di mantenere le sanzioni a Mosca per porre fine alle violenze nell’Est dell’Ucraina.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Questa settimana Elijah Wald è in Italia per portare sul palco, tra Milano, Torino e Piacenza, le sue storie su Bob Dylan e il Greenwich Village di New York. Chitarrista folk blues ma anche narratore e giornalista musicale, attraverso canzoni e racconti Wald ripercorre nel suo spettacolo il cammino di Dylan e dei tanti personaggi di quel periodo irripetibile. Da Woody Guthrie a Pete Seeger, da Eric Von Schmidt a Dave Van Ronk - quest’ultimo anche protagonista del film dei fratelli Coen “A proposito di Davis” e realizzato partendo proprio dal memoir scritto da Wald. Oggi Elijah è venuto a trovarci a Radio Popolare per raccontarci la sua storia e suonarci alcuni brani tra Mississippi John Hurt, Paul Clayton e Victor Jara. Ascolta l’intervista e il MiniLive di Elijah Wald.

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    Una mostra fotografica ripercorre i 50 anni di Radio Popolare. Dal 14 dicembre a Milano

    Domenica 14 dicembre alle ore 10, presso la Sala Cisterne della Fabbrica del Vapore, a Milano, inaugura la mostra "50 e 50. La mostra. Radio Popolare 1975 - 2025", una delle prime iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione di Radio Popolare. La mostra racconta i cinque decenni "di onda" attraverso venti storie realizzate dai fotografi che in questi anni sono stati vicini alla radio. Inoltre, la mostra ospiterà un’interpretazione creativa realizzata da Studio Azzurro dei video che ricostruiscono la storia di Radio Popolare. La mostra sarà allestita fino al 25 gennaio. Tiziana Ricci ce la racconta insieme a Giovanna Calvenzi, che ne è la curatrice.

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