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L’8 marzo e la “guerra maschia”

Lo avete notato? Non c’è una sola donna, al tavolo delle “trattative” russo-ucraine, non c’è mai stata in alcuno dei tre round. È tutta una questione che si vedono i maschi, tra loro.

Ce ne sono pochissime, di donne, anche nei governi dei due paesi in guerra: in tutto 6 su 54 ministri, 2 in Russia e 4 in Ucraina.

Per quanto riguarda Putin, la sua virilità esibita è antica: ama mostrarsi in pose machiste, da judoka o hockeista, a torso nudo nei boschi, ai comandi di un cacciabombardiere, volando in parapendio, sparando con pistole e carabine. E a Oliver Stone che gli chiedeva se si era mai sentito guidato dalle emozioni e dai sentimenti, rispose «No, non sono una donna».

Zelensky rappresenta decisamente un tipo di maschio diverso e più moderno, che sa mescolare coraggio in maglietta mimetica con battute social e sorrisi ammiccanti. È inevitabilmente finito come modello sull’ultima copertina di Vanity Fair ed è diventato un sex symbol su Tik Tok. La stampa popolare americana lo ha ribattezzato “the sexiest man alive”.

Siamo quindi di fronte a due maschi alfa, ciascuno a modo suo, con stili diversi, ciascuno circondato da altri maschi; ed entrambi ora sono in guerra, uno da aggressore feroce e uno da eroe che resiste.

In Russia l’omosessualità è un tabù. I gay pride sono proibiti. La “propaganda dell’omosessualità” è un reato così com’è vietato manifestare per i matrimoni gay o le unioni civili. Il patriarca di Mosca Kirill ha appena benedetto la guerra in Ucraina perché «è giusto combattere contro la lobby gay». Un Tg russo ha detto che «la vittoria sarà tutta nostra, è impossibile non vincere con gli ucraini che schierano battaglioni formati soltanto da soldati gay».

Il problema è che le cose non stanno esattamente così. Perché è vero che in Ucraina l’omosessualità è più tollerata, ma il divieto al matrimonio gay è addirittura nella Costituzione e il governo di Kiev ha rifiutato di sostenere la Convenzione di Istanbul contro l’omofobia perché «contraria ai valori fondamentali cristiani». Gli omosessuali non possono neppure donare il sangue – in questo specifico dettaglio la situazione è perfino peggiore che in Russia. Quanto alla transessualità, è classificata come disturbo psichiatrico.

Insomma c’è anche un bel problema di subcultura maschilista, patriarcale e omofoba, in questa guerra, specie da parte dell’aggressore, come si è visto, ma serpeggiante anche nelle fila della controparte.

Nessuno è così naif da pensare che basti un governo di donne per eliminare le guerre: il XX secolo ci ha dato Margaret Thatcher che posava in divisa sui carri armati e rifiutò ogni forma di diplomazia sulle Falkland, preferendo esibire subito i muscoli.

Resta la questione di fondo, in questo 8 marzo di guerra: quanto incide ancora, nel XXI secolo, la “guerra maschia”, come pulsione libidica alla distruzione o come adornamento di vanità virile?

  • Autore articolo
    Alessandro Gilioli
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