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L’infernale Quentin


“Qualche anno dopo la Guerra Civile una diligenza corre attraverso il Wyoming innevato“. Le prime righe della sceneggiatura di The Hateful Eight di Quentin Tarantino rappresentano l’ouverture di un’opera immensa, accompagnata da una partitatura musicale quasi classica composta da Ennio Morricone e candidata all’Oscar, ricca di elementi umani, razziali, politici, sanguinari e teatrali, in una mescolanza di generi cinematografici che, per dirla con le parole del regista: “Pagando un solo biglietto si vedono diversi film”.

La particolarità dell’opera è già suggerita dal tipo di sala cinematografica richiesta dallo stesso regista per la proiezione in anteprima del film, in questo caso la Sala Energia del Cinema Arcadia di Melzo, nota per lo schermo unico in Italia per dimensioni e uno dei pochi che proietta ancora in pellicola 70mm, il formato in cui è stato girato il film: “L’ho scelto per cogliere quel desolato paesaggio western, la neve, la bellezza di quelle location”, spiega Tarantino. “Questi grandi formati permettono una maggiore intimità, ti fanno stare più vicino ai personaggi, ti portano dentro la scena.”

Il film comincia con l’ascolto dell’ouverture musicale, dieci minuti su immagine fissa rossa con una diligenza e un paesaggio neri stilizzati. E nella durata totale del film di tre ore e otto minuti è incluso il tempo dell’intervallo, tagliato tra un capitolo e l’altro sul montaggio stabilito da Tarantino.

Infatti il film è suddiviso in capitoli montati in ordine temporale, tranne il penultimo che spiega cosa è successo prima. Ma prima di cosa? Prima dell’arrivo dei passeggeri della diligenza all‘Emporio di Minnie. Su quella diligenza, quasi in fuga sulla distesa di neve punteggiata da una tormenta in arrivo, viaggiano due persone: il cacciatore di taglie, detto il Boia John Ruth (Kurt Russell) e la ricercata Daisy Domergue (Jennifer Jason Leight). Sono diretti a Red Rock e sul loro percorso incontrano prima il maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson) e più avanti Chris Mannix (Walton Goggins), che dice di essere il nuovo sceriffo di Red Rox.

Dal vento gelato e la strada innevata si entra finalmente nell’Emporio di Minnie, da cui si uscirà sui titoli di coda. Un luogo di sosta e ristoro, dove ci si scalda accanto al camino, si beve il miglior caffè della contea, si gioca a scacchi, si scrive il diario, si canta una canzone, ci si scambia storie e opinioni con viandanti incontrati per caso. Quando arrivano i quattro della diligenza, l’incontro è con gli sconosciuti: Bob (Demian Bichir) messicano a cui Minnie avrebbe affidato la locanda durante un suo breve viaggio, Oswaldo Mobray (Tim Roth) il boia di Red Rock, il mandriano Joe Gage (Michael Madsen) e il generale confederato Sanford Smithers (Bruce Dern).

Quattro più quattro in un unico interno come in una pièce teatrale o in un Kammerspiel, con tutti i personaggi avvolti da mistero e da non detto, sette uomini e una donna, tanti cattivi e pochi buoni. L’apoteosi tarantiniana, fatta di dialoghi terribili e a volte comici, umanamente cinici e con logiche spiazzanti. Sangue naturalmente, non a fiotti ma ben concentrati e dosati. Un western, con rimandi al Grande silenzio di Sergio Corbucci, a Ombre RosseSentieri selvaggi di John Ford con quella porta che incornicia luci e ombre e che all’improvviso diventa un giallo di Agatha Christie, con tanto di ricostruzione del puzzle criminale alla maniera di Hercule Poirot.

Un film politico, anche e sempre alla maniera di Quentin Tarantino, così come lo sono stati Bastardi senza gloria e Django. Il nazismo e la resistenza e poi lo schiavismo americano, la segregazione dei neri. Una sorta di trilogia e di seguito ideale del precedente. Lo schiavismo c’è ancora: “Non avetre idea di quanto sia difficile per un negro vivere negli Stati Uniti” – dice il personaggio di Samuel L. Jackson che porta con sè gelosamente una lettera di Lincoln. La parola negro è abusata in The Hateful Eight, così come lo era in Django ma qui il maggiore Marquis Warren riesce a farsi valere, nonostante tutto.

Ultima ma non ultima: l’unica donna del film meriterebbe un capitolo a parte. Tarantino misogino? Non si direbbe proprio. Kill Bill era un omaggio alla forza femminile, accompagnata da una superiorità e unicità espressa attraverso la fecondazione come germoglio vivente, emerso dalla terra e non solo in senso metaforico secondo il regista. Qui Daisy Domergue è una tigra ferita, furiosa, vendicativa, brutale, totalmente impazzita, privata della sua grazie femminile.

Una donna che cerca di sopravvivere alla crudeltà degli uomini, in questo microcosmo creato da Tarantino con un’iperbole quasi grottesca. Ma forse non tutto è perduto e accade in un unico breve momento del film attraverso uno sguardo dolce di Jennifer Jason Leight, in cui la tenerezza soffocata dice “arimo” e salta fuori per pochi istanti.

  • Autore articolo
    Barbara Sorrentini
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    1) “La gente non lascia Gaza City perché non sa dove andare o perché non può permetterselo”. Migliaia di persone restano nella città della striscia, mentre l’esercito continua a bombardarla. (Jacob Granger - MSF) 2) “Israele sta commettendo un genocidio, ma gli altri paesi hanno l’obbligo giuridico di fare tutto ciò che possono per impedirglielo”. In esteri la seconda puntata dell’intervista a Chris Sidoti, giudice della commissione Onu. (Valeria Schroter, Chris Sidoti - Commissione Onu d'inchiesta per i territori palestinesi) 3) La Francia ancora in piazza. Un milione di persone mobilitate dai sindacati per protestare contro la legge di bilancio di Bayrou. (Veronica Gennari) 4) La tragedia umanitaria della guerra in Sudan, e i sudanesi che resistono. Premiata in Norvegia una rete di associazioni comunitarie che lavorano per favorire l’ingresso di aiuti. (Irene Panozzo, analista politica) 5) Donald Trump alla corte britannica. La luna di miele tra Keir Starmer e il presidente Usa è soprattutto una questione di business. (Marco Colombo, giornalista) 6) World Music. Together for Palestine, il concerto organizzato da Brian Eno a Londra contro il genocidio. (Marcello Lorrai)

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    L'Orizzonte è l’appuntamento serale con la redazione di Radio Popolare. Dalle 18 alle 19 i fatti dall’Italia e dal mondo, mentre accadono. Una cronaca in movimento, tra studio, corrispondenze e territorio. Senza copioni e in presa diretta. Un orizzonte che cambia, come le notizie e chi le racconta. Conducono Luigi Ambrosio e Mattia Guastafierro.

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    Alessio Lega ricorda Fausto Amodei: "Sublime la sua scrittura, una persona tenera e ironica"

    È morto a 91 anni Fausto Amodei, figura cruciale per la canzone popolare italiana che alla fine degli anni cinquanta aveva contribuito a fondare il Cantacronache, il primo esperimento di canzone politica “d’autore” in Italia. Tra i suoi capolavori 'Per i morti di Reggio Emilia', una delle canzoni popolari e politiche più suonate nelle piazze d’Italia. Ma "le sue canzoni sono riuscite ad andare ben oltre il suo nome” diventando parte dell’immaginario collettivo, ricorda il cantautore Alessio Lega ai microfoni di Radio Popolare. Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Il drammaturgo Christopher Adams vince il Premio Annoni sfidando gli stereotipi della mascolinità

    Venison è il testo teatrale che si è aggiudicato il Premio Annoni per la Drammaturgia LGBTQ+ 2025 nella sezione in lingua inglese. Il suo autore, il drammaturgo angloamericano Christopher Adams, porta sulla scena una storia d'amore queer fra due giovani uomini, le cui vicissitudini professionali finiscono per scatenare dinamiche di competizione e predominio, tipiche di una mascolinità stereotipata. Il testo li consegna a una specie di resa dei conti nel cuore di una foresta, vicino a un capanno da caccia. Lo abbiamo intervistato mentre, a Londra, era appena uscito da un corso di tip tap. L'intervista di Ira Rubini.

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