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Istanbul vent’anni dopo

A vent’anni di distanza dal suo primo film Il bagno turco, Ferzan Ozpetek torna a girare nella sua città. E se nel 1996 il regista raccontava un luogo che stava per scomparire, in cui le tradizioni scendevano a patti con la modernità e l’imminente ingresso in Europa, in Rosso Istanbul scopriamo insieme a lui un città completamente cambiata e che ogni giorno lascia alle spalle un po’ di se stessa. Non a caso il film inizia con la scritta in sovrimpressione 13 maggio 2016, come a dire che da lì in avanti la metropoli potrebbe diventare qualcosa d’altro.

Il film è liberamente tratto dall’omonimo e quasi autobiografico libro di Ozpetek scritto tre anni prima. Protagonista è uno scrittore , Orhan (Halit Ergenc) che da Londra ritorna nella sua Istanbul per aiutare il regista turco Deniz (Nejat Isler) a finire di scrivere un libro. Un ritorno brusco, che in poche ore condurrà il protagonista in una situazione inaspettata e un po’ thriller, che lo costringe a fare i conti con il proprio passato doloroso.

Orhan incontrerà nuove persone, che nel film hanno i volti di attrici e attori turchi, come Tuba Buyukustun, Serra Ylmaz, Mehmet Gunsur, Cigdem Onat, Zerrin Tekinindor e conoscerà una città completamente trasformata e rassegnata a convivere con frequenti attacchi terroristici.

“Ho concepito il film come un doppio viaggio, emotivo e razionale, interrogandomi per la prima volta sulla materia narrativa del ritorno a casa, sulla natura profonda e spesso nascosta delle emozoni e dei sentimenti che vengono a galla in situazioni così – racconta Ferzan Ozpetek. Durante le riprese di Rosso Istanbul mi sembrava di perdere continuamente la mia città quasi sfumasse nel clima pesante e di profonda incertezza che oggi l’avvolge”.

Quasi straniero in casa propria, come si definisce il regista di Le fate ignoranti, La finestra di fronte e tanti altri film ambientati a Roma, anche in Rosso Istanbul cerca di mantenere alcuni punti saldi del suo cinema, come le grandi tavolate, qualche scena in cucina e un’idea di famiglia allargata e reinventata che accoglie tutti.

Un film sentito e sincero, con un focus sulle vite intime delle persone che ogni tanto si allarga per mostrare il contesto in cui queste vite si muovono. Se la tensone degli attentati ha reso complicate le riprese e allungato i tempi di lavorazione, in una scena sullo sfondo si vedono le ‘madri del sabato’, (le madri degli scomparsi che si riuniscono in Piazza Galatasaray) e in un’altra viene abbozzata la situazione dei profughi curdi.

E’ interessante il lavoro sull’audio, fatto di rumori della città e dei cantieri a cielo aperto che costruiscono senza sosta, così come il rumore dei battelli sul Bosforo e la colonna sonora della cantante emergente turca Gaye Su Akyol, dell’artista tedesca Hildegard Knef e le musiche originali di Giuliano Taviani e Carmelo Travia.

Ascolta l’intervista a Ferzan Ozpetek

Ozpetek_Rosso Istanbul

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    Barbara Sorrentini
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    Tommy WA: la nuova promessa del folk africano si racconta a Radio Pop

    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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