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Vittoria per i moderati vicini a Rohani

Per la prima volta dal 2005, i conservatori cedono il testimone ai moderati. Nel ballottaggio di venerdì 29 aprile (necessario per i candidati che al primo turno di febbraio avevano ottenuto meno del 25 percento dei voti) i conservatori hanno preso meno di un terzo dei voti. Di fatto, una sconfitta.

Segno che il popolo iraniano appoggia l’accordo sul nucleare voluto dal presidente Rohani, anche se non ha ancora portato risultati evidenti. Gli iraniani sembrano anche consapevoli di quanto sia necessario aprire il paese agli investimenti stranieri per riavviare l’economia.

Nel giro di un mese, nella capitale Teheran si insedierà il nuovo parlamento dove i moderati hanno la maggioranza necessaria per appoggiare le riforme del presidente Rohani. Vediamo i numeri: gli uomini vicini al presidente hanno ottenuto il 42% dei voti. Non proprio la maggioranza, ma un buon numero di seggi per promuovere – e promulgare – le riforme necessarie. Certo, sarà indispensabile l’appoggio degli indipendenti, che hanno ottenuto il 30% dei voti. Di loro si dice che molti siano di orientamento riformista.

Avere la maggioranza del parlamento non sarà però sufficiente per far passare le riforme volute dal presidente Rohani. Perché non è detto che gli indipendenti – che saranno l’ago della bilancia – appoggino sempre e comunque i moderati. E poi perché i conservatori controllano altri organi fondamentali, come il Consiglio dei Guardiani che esercita il diritto di veto sulle leggi promulgate dal parlamento.

Interessante anche il fronte femminile di questo parlamento, che ha più di cent’anni e conta cinque deputati appartenenti alle minoranze religiose. Se nella legislatura uscente le deputate erano soltanto nove, nelle elezioni di febbraio 2016 ne sono state elette, al primo turno, tredici e al ballottaggio di venerdì hanno vinto in tre. Saranno quindi diciassette, un record dalla creazione della Repubblica islamica nel 1979.

Certo, non basta essere donne per essere buone, riformiste, ispirate ai valori di democrazia e libertà. Nel caso dell’Iran ci sono buone speranze che la prossima legislatura promulghi qualche legge a favore delle donne, perché nessuna delle elette milita nei partiti conservatori. Anche l’età delle elette è di buon auspicio: la metà ha meno di 40 anni. La più giovane, Zahra Zaidi, proviene dalla provincia conservatrice di Isfahan e ha messo ko tutti i suoi dieci rivali, tutti uomini.

  • Autore articolo
    Farian Sabahi
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    Violenza: riprendersi il potere sulla propria vita

    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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