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Iowa. Gli ultimi hurrah

Tempo (metereologico), affluenza, effetti dei cambiamenti demografici di questi ultimi anni. Sono tante le variabili dei caucus dell’Iowa 2016. Stasera è in arrivo una tempesta di neve che dovrebbe toccare prima le aree dell’Ovest dello Stato. Se la tempesta, come sembra, sarà di quelle serie, potrebbe far decidere ad alcuni di non uscire di casa (si vota tra le 7 e le 8 di sera, incontrandosi e votando, dopo aver discusso i diversi candidati; si tratta del brand particolare di democrazia di cui vanno fieri in Iowa).

Il tema del meteo è legato a quello dell’affluenza: più gente va a votare più possibilità hanno di vittoria candidati come Bernie Sanders e Donald Trump, meno legati alle macchine elettorali dei loro partiti, più portati a far votare gli indipendenti. Infine c’è la questione demografica. Lo Stato, negli ultimi anni, ha perso abitanti, soprattutto nelle aree rurali dell’Ovest. La cosa potrebbe, ancora una volta, favorire candidati come Sanders, che hanno la loro base elettorale nei centri urbani dell’Est.

Ecco alcune cose da tenere d’occhio stasera, nel voto democratico e repubblicano.

Sanders. Studenti e minoranze.
Il candidato dell’ala progressista dei democratici è dato, negli ultimi sondaggi, indietro di tre punti rispetto alla favorita Hillary Clinton. Il risultato è inimmaginabile solo rispetto a qualche mese fa, quando Sanders era poco più di un semplice candidato di bandiera; a questo punto la possibilità della vittoria esiste – nelle ultime ore il candidato si è mosso in modo frenetico per lo Stato – ma ci sono ancora alcuni passi da fare.

In primo luogo, il voto giovanile. Per vincere, Sanders deve ottenere un risultato consistente nella contea di Johnson, dove si trova la University of Iowa, e in quella di Story, dove si trova la Iowa State University. Questo significa che non gli devono mancare i voti in posti come Iowa City, Ames, Cedar Falls, quindi nella parte orientale dello Stato, più urbana, scolarizzata, liberal. Dato per scontato che le aree rurali dell’Ovest andranno alla Clinton, restano in palio altre città, soprattutto Des Moines. Qui, dove vive anche buona parte della macchina organizzativa del partito democratico, la Clinton appare in vantaggio, grazie anche al voto delle minoranze.

Un buon indicatore della forza e delle possibilità future di Sanders verrà dunque dalla sua capacità di “pescare” nell’elettorato della Clinton. Otto anni fa Barack Obama riuscì a prevalere sia nelle aree urbane dell’Est che in quelle rurali dell’Ovest. Se Sanders fosse altrettanto capace, se riuscisse soprattutto a conquistare il voto delle minoranze, che continuano in modo netto a preferirgli Hillary, la sua sfida potrebbe diventare reale. Se al contrario il suo voto non si allarga oltre studenti ed élite bianche, Sanders è destinato a fare la stessa fine di candidati come Howard Dean, partito alla grande nel 2004 ma presto sgonfiatosi di fronte a John Kerry.

Un’ultima cosa. I caucus presentano un andamento di voto molto più fluido, rispetto a quello delle presidenziali. Un elettore, democratico o repubblicano, può facilmente scegliere un candidato diverso, sulla base delle considerazioni dell’ultima ora. Potrebbe succedere anche questa volta. La storia delle 22 email contenenti “segreti di Stato”, spedite dall’account personale di Hillary Clinton, quand’era segretario di Stato, non hanno aiutato la candidata, e potrebbero portare alcuni a preferirle Sanders, sulla base di un criterio di non-affidabilità e trasparenza. C’è poi il tema Martin O’Malley, il terzo candidato delle primarie, di cui pochi parlano. O’Malley è più vicino a Sanders, quanto a idee e programmi, ma si avvicina alla Clinton, in termini di esperienza; è stato infatti governatore del Maryland. Più voti per O’Malley significano meno voti per gli altri due sfidanti.

Il “mistero” Donald Trump.
Dire esattamente dove Trump può raccogliere i suoi voti non è facile. Un sondaggio dell’Emerson College delle ultime ore lo dà avanti di un punto rispetto a Ted Cruz. Sarebbe un risultato notevole per il candidato che in questi mesi ha corso contro l’establishment repubblicano, facendosi anzi voce dei delusi dalle politiche del partito – e in generale degli otto anni di Barack Obama.

In generale, l’appeal di Trump travalica indicazioni di età, religione, condizione sociale. Se le aree dell’Ovest dello Stato, quelle più conservatrici, di antica colonizzazione olandese, sono terreno facile di conquista per Ted Cruz, Trump potrebbe conquistare voti nel resto dello Stato: a Des Moines e nelle città dell’Est; nelle aree rurali sempre della parte orientale, poco toccate dall’evangelismo religioso; tra gli studenti dei college, attirati dal suo messaggio iconoclasta e anti-establishment; nelle contee del Nord e del Sud, che in passato hanno votato Ron Paul e che sono sensibili alla rivendicazione di un capitalismo sciolto da grandi lacci di cui Trump è incarnazione.

Certo è che se Trump ottiene un buon risultato in Iowa, per il Partito repubblicano sono guai. Il magnate newyorkese è proiettato a vincere facilmente in New Hampshire, il prossimo Stato dove si voterà, e una vittoria anche in Iowa potrebbe farlo diventare qualcosa di più del semplice “folklore” con cui molti repubblicani lo hanno sinora guardato. Quanto a Ted Cruz, se non porta a casa l’Iowa, uno Stato con una forte presenza di evangelici, non ha grandi possibilità altrove. Al terzo posto dovrebbe, secondo i pronostici, collocarsi Marco Rubio, che è apparso negli ultimi giorni in ripresa e può contare soprattutto sul voto delle aree urbane dove si trova la nomenclatura repubblicana. Quanto a Jeb Bush, John Kasich, Chris Christie, i candidati dell’ala governativa, moderata, vicina al mondo degli affari del Gop (Grand Old Party), le speranze sono pari a zero, e infatti i tre stanno già pensando alla prossima tappa in New Hampshire.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Gran Bretagna e Germania, i grandi malati d'Europa. Il primo ministro britannico Starmer e il cancelliere tedesco Merz sono entrambi proiettati in una rincorsa della destra estrema. Il laburista britannico Starmer, due settimane fa: «restauriamo ordine e controllo», titolo di un documento presentato alla Camera dei Comuni. Il democristiano tedesco Merz: ci vogliono «controlli ai confini e respingimenti» perchè «l’immigrazione ha un impatto sul paesaggio urbano». Proprio così. Germania e Gran Bretagna, due potenze economiche mondiali: la Germania (80 milioni di abitanti) con il terzo pil del mondo (dopo Stati Uniti e Cina); il Regno Unito (con 60 milioni di abitanti) con il sesto pil mondiale (dopo la Germania c’è il Giappone e l’India e poi il Regno Unito). La “malattia” (la rincorsa ad essere a volte più a destra delle destre) rischia di cambiare i connotati a tradizioni politiche europee centenarie: come il laburismo britannico, il popolarismo democristiano tedesco insieme alla socialdemocrazia, sempre in Germania. Pesa, inoltre, un discorso pubblico sempre più contaminato da un lessico guerresco. Che danni può provocare questa “malattia” in due paesi fondamentali del continente europeo? Pubblica ha ospitato la storica Marzia Maccaferri (Queen Mary, University of London) e il giornalista Michael Braun (corrispondente da Roma del berlinese Tageszeitung).

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    Politici, industriali e finanzieri sono concordi nel sostenere la strada del riarmo e della militarizzazione europea: per i finanzieri si tratta di far fruttare i propri fondi rapidamente e in maniera sicura, per gli industriali idem, con fortissime iniezioni di denaro pubblico, non a caso anche quest’anno hanno fatto il record di vendite come registra il Sipri di Stoccolma il più autorevole istituto di ricerca sulla spesa militare nel mondo. Il problema, spiega Francesco Vignarca, portavoce della Rete Pace Disarmo, ricercatore e analista (tra i curatori del libro Europa a mano armata curato con Sbilanciamoci) è che così vince il discorso di guerra. Banalizzante, propagandistico e pericoloso perché sequestra la democrazia: “Il complesso militare industriale ha un pensiero medio lungo strategico. Stanno già intervenendo per togliere le leggi sulla limitazione alla vendita di armi, perché sanno che dovranno vendere questa sovraproduzione da qualche parte, così come fanno entrare capitali esteri nella nostra industria, come i sauditi in Leonardo, perché non siamo noi gli acquirenti di queste armi”. Ascolta l'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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    A come Asia di mercoledì 03/12/2025

    A cura di Diana Santini

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    Sguardi, opinioni, vite, dialoghi al microfono. Condotta da Massimo Bacchetta, in redazione Luisa Nannipieri.

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    L’inquietudine della provincia nel film “Ferine”, in concorso al Noir in Festival

    Trattandosi di un film horror si può raccontare poco. Ferine di Andrea Corsini si sviluppa intorno ad Irene, una donna che desidera una figlia ma nello stesso tempo è costretta a difendersi da chi la ostacola. In seguito a un incidente, la donna va in cerca di sangue per sopravvivere. Il tutto si svolge in un paesaggio vuoto e deprimente: “Cercavo una provincia in cui si respirasse solitudine e isolamento, come la villa di architettura brutalista e il centro commerciale esternamente vuoto. Il cemento da una parte e dall’altra le zone boschive, in cui si scatena l’aspetto selvaggio della storia”. Spiega Corsini, che nel film ha ricreato delle atmosfere che ogni tanto ricordano David Lynch, accompagnate dalla musica di Pino Donaggio: “È sempre stato il mio sogno, ma non avrei mai pensato di riuscirci. Non ho dovuto dirgli quasi niente per arrivare a questo risultato”. Un film prevalentemente femminile, con attrici internazionali che recitano in inglese e in cui gli uomini hanno soltanto parti in secondo piano. L'intervista di Barbara Sorrentini ad Andrea Corsini.

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