“Penso che nessuna azienda sarà immune, noi compresi”, sono le parole alla BBC di Sundar Pichai, presidente della società madre di Google, Alphabet. Le parole di Pichai confermano i timori di una bolla dell’intelligenza artificiale nella Silicon Valley e non solo. “Sebbene – ha aggiunto – la crescita degli investimenti nell’intelligenza artificiale abbia rappresentato un “momento straordinario”, nell’attuale boom dell’IA c’è una certa “irrazionalità”. Esteri ha intervistato Andrea Di Stefano, direttore di The Washing News.
Le ragioni sono molteplici. La prima è la spinta molto consistente agli investimenti intorno all’intelligenza artificiale e le stime che questi investimenti possono ammontare complessivamente a 5000 miliardi di dollari, soprattutto negli Stati Uniti, quindi delle cifre veramente molto grandi e molto superiori anche all’incredibile liquidità che hanno a disposizione le grandi aziende del comparto tech. Questa aspettativa porta ad un incremento dei valori borsistici molto rilevante, ma negli ultimi tempi si è anche evidenziato che si parla, appunto, solo di investimenti, ma il ritorno di questi investimenti è incerto o comunque è a medio lungo termine e quindi, l’aspettativa sul ritorno di questi investimenti si è fortemente ridimensionata e c’è il timore che le quotazioni di alcuni titoli, come Nvidia, quello dei chip su tutti, ma non è l’unico, siano eccessivamente amplificate da questa frenesia legata all’intelligenza artificiale, ma non abbiano poi una sostanza reale dal punto di vista dei conti economici.
Sundar Pichai, presidente della società madre di Google Alphabet ha detto che nell’attuale boom dell’intelligenza artificiale c’è una certa irrazionalità. Questa è proprio ai mercati?
Sì, si riferisce sicuramente ai mercati e al fatto che si costruiscono progetti nella stragrande parte addebito che si inseguono praticamente uno con l’altro riproducendo un modello che era quello che si era visto anche all’inizio di internet quando lo sviluppo dell’infrastruttura di internet era stata spinta da grossi investimenti, ma anche da grosso indebitamento che poi ha necessitato di molti anni per poter rientrare e ripagare chi, appunto, aveva poi sottoscritto obbligazioni o i titoli delle aziende coinvolte.
Ci sono delle avvisaglie oppure sono soltanto degli allarmi per consigliare tutti di stare più cauti?
Ci sono tantissime avvisaglie: dai prezzi delle azioni che sono molto distanti da quei parametri che vengono considerati fondamentali per restare con i piedi per terra, soprattutto il multiplo del prezzo di un’azione sugli utili attesi nei prossimi 3 anni. Questo multiplo per alcuni titoli è ampiamente sopra i 100-120 multipli e questo è considerato un livello di rischio molto elevato. Poi il fatto che, appunto, gran parte di questi investimenti avvengano a debito e, quindi, che si stiano costruendo delle obbligazioni e delle emissioni di obbligazioni molto consistenti o che si vada a reperire queste risorse sul mercato finanziario attraverso vari strumenti che coinvolgono poi anche fondi pensione, fondi di investimento, quindi che potenzialmente nel caso di sgonfiamento rapido e un po’ repentino potrebbero accumulare delle perdite. Poi c’è il terzo elemento che bene o male si è visto già in altri settori, gli investimenti per lo sviluppo di questi settori sono molto alti, ma alla fine poi sopravvivono in pochissimi, quindi, la prospettiva che molti di questi attori possono scomparire poi progressivamente è ovviamente un altro fattore che evidenzia il rischio di uno sgonfiamento da bolla.
Ultima domanda, se dovesse scoppiare questa bolla, cosa potrebbe succedere a livello finanziario economico?
Dipende dalle dimensioni e dalla viralità di questa eventuale sgonfiamento della bolla.
In passato ci sono state bolle molto settorializzate che hanno danneggiato solo gli investitori dei comparti, penso a quella la bolla degli anni ‘90 delle biotecnologie del biotech medico. Ci sono state, invece, bolle che quando sono esplose hanno prodotto effetti virali, come il caso delle della bolla internet delle dotcom all’inizio del 2000. Dipende, appunto, dal perimetro perché essendo coinvolto volte le società tech potrebbe semplicemente vedere limati i loro valori e questo sarebbe quasi fisiologico. Se invece, visto che stiamo parlando di cifre più consistenti in termini di esposizione, se questo si dovesse espandere ai mercati tradizionali, alle aziende tradizionali e ci fosse un ribasso generalizzato, questo potrebbe anche portare a una frenata economica e a un contenimento dei consumi, soprattutto in un contesto come quello americano, dove le famiglie sono fortemente dipendenti anche dall’andamento del loro investimenti borsistici.


