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“La risposta non può essere solo giudiziaria”

A Barcellona è stata convocata per martedì sera una fiaccolata per chiedere la liberazione dei leader delle due principali organizzazioni indipendentiste della società civile catalana.

Jordi Sánchez, dell’Assemblea Nazionale Catalana, e Jordi Cuixart, di Omnium Cultural, sono stati arrestati ieri per decisione dell’Audiencia Nacional di Madrid con l’accusa di sedizione.

Per sabato prossimo, 21 ottobre, è stata convocata un’altra manifestazione, sempre a Barcellona.

Il presidente catalano, Puigdemont, ha tempo fino a giovedì mattina per fare marcia indietro, altrimenti il governo spagnolo farà partire la procedura per la sospensione dell’autonomia.

Il portavoce della Generalitat ha fatto capire oggi che il leader catalano non farà alcuna marcia indietro, in modo che sia chiaro se a Madrid puntano sul dialogo oppure sulla repressione.

Abbiamo parlato della crisi catalana con Arnau Gonzalez, storico all’Università Autonoma di Barcellona.

Non possiamo non partire degli ultimi fatti di cronaca: gli arresti dei due leader delle principali associazioni della società civile catalana. Come questo fatto può cambiare il corso degli eventi nei prossimi giorni?

“Le due persone che sono state arrestate non sono dei politici, sono persone della società civile che possono portare in piazza centinaia di migliaia di persone, a far sentire la propria voce che è un’altra cosa rispetto a quella del governo catalano. Quindi penso che la decisione del governo e della giustizia spagnoli di arrestare questi due leader metta ancora più benzina su un problema che è politico e non giudiziario”.

Si sentono sempre due racconti contrapposti in questa vicenda. Madrid e Barcellona raccontano due realtà così diverse. Per quale motivo?

“E’ esattamente così. Per esempio, il governo spagnolo dirà che gli arresti sono solo un’iniziativa dei giudici. Penso che il problema sia generale. La Spagna in questo momento ha un problema politico: la volontà della maggioranza della società catalana di votare in un referendum di autodeterminazione. E’ un problema politico che necessità di un intervento politico, spagnolo e forse anche internazionale. Non è un problema giudiziario. In questo voglio essere molto chiaro, come storico e come professore di una università pubblica. Ci sono tanti argomenti per difendere l’unità della Spagna e altrettanti a favore della indipendenza della Catalogna. La questione è permettere ai cittadini di discutere, di dibattere, di parlare e, semplicemente, di votare. Qualcuno obbietterà che la legge esistente ci permette di vivere in società, insieme con le nostre differenze, ma penso che in questo momento impugnare la legge per impedire alla cittadinanza di esprimersi equivale a ferire la democrazia. Qualcun altro mi dirà che questo è populismo, ma l’unica risposta a questo problema è un referendum. Ed è importante che tutti gli europei capiscano che la Costituzione spagnola è una prigione, è irriformabile. E, come storico, penso che leggi non possano essere così. Devono adattarsi a quello che la società vuole. Noi abbiamo una parte della Spagna che vuole decidere del suo futuro, e forse vuole staccarsi dal Paese per motivi economici, storici, culturali. E l’altra narrazione – quella del nazionalismo di Stato – risponde solo imponendo la prigione della legge. Ma la legge, i tribunali, non sono la soluzione a tutto”.

A proposito di legge, nei giorni scorsi i partiti spagnoli hanno promesso di riformare la Costituzione. Come dobbiamo interpretare questa mossa? Tattica o volontà sincera?

“Come storico osservo che più volte in passato i partiti spagnoli hanno messo sul tavolo una proposta di riforma per tenere a bada l’indipendentismo catalano per poi non farla arrivare da nessuna parte. Pertanto io, in questo preciso momento, non do nessuna credibilità a questa proposta”.

In tutta questa vicenda, quando parliamo di indipendentismo catalano, quanto è importante l’identità nazionale?

“Questo è un punto chiave per capire cosa sta succedendo nella questione catalana. Non mi riferisco soltanto al concetto di nazione o di identità nazionale, ma anche a quello di Stato. Per il nazionalismo di Stato spagnolo, non esiste la volontà di essere spagnolo per volontà propria. Cosa voglio dire? Per esempio che nella società spagnola non c’è spazio per il pensiero di filosofi come il francese Ernest Renan, che nel XIX secolo diceva: evidentemente ci sono delle radici storiche, linguistiche, culturali che formano una comunità nazionale, ma c’è anche un altro elemento e cioè la volontà individuale di far parte di quella comunità nazionale, il sentimento di ogni cittadino. E’ questa la posizione catalana, quella di Renan. Al contrario, quella del nazionalismo spagnolo, prevede solo imposizione, si nasconde dietro i tribunali. Noi invece vogliamo un confronto tra le due posizioni e poi decidere”.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    L'abbiamo scoperto con l'EP "Somewhere only we go" e oggi a Volume abbiamo avuto modo di conoscere meglio la storia di questo cantautore nigeriano, che si è poi formato musicalmente in Ghana: "Nel corso degli anni le nostre musiche si sono fuse: l'highlife ghanese, il palm-wine, il folk di Kumasi, il suono contemporaneo della chitarra. Ho potuto unire questi due mondi, mescolandoli con le radio occidentali che ascoltavo da ragazzo". Il risultato è un folk pop pieno di anima e di profondità: "Il mio obiettivo non è solo una carriera internazionale, ma costruire qualcosa in Africa. Voglio creare una struttura che funzioni per artisti come me, gente con una chitarra o un tamburo, artisti contemporanei che non hanno modo di raggiungere il loro pubblico". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Tommy WA.

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    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale

    Teatro. La rivoluzione delle "piscinine" milanesi vista da due piccioni in crisi esistenziale Al Teatro della Cooperativa, a Milano ha debuttato in prima nazionale "Lo sciopero delle bambine", in scena Rita Pelusio e Rossana Mola di PEM Habitat Teatrali, compagnia che porta avanti una ricerca artista che declina contenuti civili e ironia. Lo spettacolo, con la regia di Enrico Messina, racconta una storia avvenuta a Milano nel 1902, quando le “piscinine”, che in dialetto meneghino significa “piccoline”, bambine, tra i sei e i tredici anni, che lavoravano senza diritti, sfruttate e sottopagate, ebbero la forza di scioperare e, per cinque giorni, fermare l’industria della moda della città. A raccontare la vicenda delle piscinine in scena sono due piccioni, due creature che abitano le piazze, le cui parole rispecchiano lo sguardo dei contemporanei, spesso stanchi e disillusi davanti alle sfide della storia. Nella trasmissione Cult Ira Rubini ha intervistato l’attrice Rita Pelusio.

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