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Ilva, cittadini e ambientalisti contro l’accordo

accordo sull'Ilva

Ieri è stato raggiunto l’accordo sull’Ilva e alla soddisfazione del Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha subito fatto seguito l’enorme delusione dei cittadini di Taranto e delle associazioni ambientaliste che da anni si stanno battendo per la chiusura dell’acciaieria.

Il Movimento 5 Stelle aveva promesso a più riprese la chiusura dell’Ilva e la mossa di Di Maio è stata vista da molti come un tradimento. Ce ne parla Alessandro Marescotti di Peacelink, da anni impegnato per la difesa ambientale di Taranto e più volte ascoltato dal Ministero dell’Ambiente e dello Sviluppo. L’intervista di Claudio Jampaglia a Giorni Migliori.

La valutazione è estremamente negativa. Questo governo ha portato a compimento che aveva iniziato il governo precedente. Il Movimento 5 Stelle è stato l’esecutore della volontà del Partito Democratico, tanto è vero che ne ha raccolto i complimenti e gli apprezzamenti. Non era questo l’epilogo che noi ci auguravamo. Non ci aspettavamo questo tradimento plateale dopo che siamo andati più volte a Roma a incontrare nelle i ministri e i tecnici nelle sedi dei Ministeri. Lo dico chiaramente: noi quest’anno non abbiamo fatto le vacanze per difendere la nostra città, per portare non soltanto le ragioni del cuore, ma anche quelle più ragionate. Quello di tenere attivi gli impianti pericolosi sotto sequestro dell’ILVA era un progetto che non doveva avere prosecuzione e avevamo fatto presente, in particolare al Ministero dell’Ambiente, il fatto che noi con questo accordo sull’ILVA avremmo come incasso 1,8 miliardi di euro da ArcelorMittal in cambio molto probabilmente di 4 miliardi di danni sanitari e ambientali, almeno secondo le stime fatte dall’Agenzia Europea per l’Ambiente. Ripeto, non sono valutazioni mie. A questo punto dov’è il vantaggio? Dov’è l’interesse pubblico di questo contratto se avremmo danni più alti di quanto saranno gli incassi? E ricordiamo che questi 1,8 miliardi di euro non vanno allo Stato, ma vengono subito girati alle banche creditrici. Questo, quindi, è un affare per le banche che ritornano in possesso del loro credito. Noi avevamo posto il problema grande come un macigno della valutazione preventiva del danno sanitario e avevamo detto che al di là del fatto che uno sia a favore o contro la prosecuzione delle attività industriali dell’ILVA, prima diteci se nei prossimi dieci anni ci saranno malati e morti.

Che è quello che sta chiedendo in queste ore il Presidente della Regione Puglia.

E fa bene! Se non c’è una valutazione preventiva, cade il principio di precauzione. Noi lo abbiamo già fatto presente al Ministro dell’Ambiente, al Ministro della Sanità e al Ministro Di Maio, ma sono stati completamente sordi. E adesso tutto quello che accadrà in termini di danni sanitari se lo porteranno sulla loro coscienza. E se a Taranto non potranno più mettere piede, non è perchè a Taranto ci sono persone irragionevoli, ma perchè ci sono persone fortemente ferite da questo comportamento che definire inqualificabile è poco. Noi abbiamo avuto centinaia e centinaia di morti e ammalati a causa delle emissioni industriali e vorrei ricordare a tutti che ogni anno più di mille persone a Taranto scoprono di avere un tumore. A Taranto, nel quartiere vicino al quale sorge l’ILVA, una persona su 18 ha un tumore. Quando si fa un’assemblea se ne trova sempre uno, i bambini hanno un eccesso di tumori infantili del 54% rispetto alla media regionale. Noi abbiamo sei impianti che erano stati posti sotto sequestro dalla magistratura perchè, sulla base di una perizia chimica e una perizia tossicologia, erano stati considerati pericolosi e per questo motivo andavano fermati. I governi del PD hanno fatto proseguire questi impianti e la Corte Costituzionale aveva dichiarato che tutto questo era consentito a condizione che venissero messi a norma. Dal 2012 ad oggi molti di questi impianti non sono stati ancora messi a norma e nel 2017, sulla base del testo unico per l’ambiente, dovevano essere fermati. È stato fatto un decreto del Consiglio dei Ministri del precedente governo per derogare rispetto all’obbligo previsto dalla legge.

E questa deroga rimarrà.

Sì, rimarrà, ma è ancora oggetto di battaglia legale. La Regione Puglia ha presentato ricorso al Tar e anche i cittadini di Taranto insieme ad alcune associazioni hanno presentato un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica per annullare quel decreto che consente l’immunità penale fino al 2023 e consente di allungare i tempi di messa a norma degli impianti ammesso che vengano messi a norma. Con questo epilogo che ci lascia delusi e traditi rimaniamo comunque fiduciosi che la lotta possa colpire il tallone d’Achille, che in questo caso è l’immunità penale. E l’immunità penale non è consentita in nessuna parte del Mondo e proprio per questo noi ci rivolgeremo a tutte le sedi, perchè quella immunità penale – una vergogna del PD confermata dal Movimento 5 Stelle – venga tolta definitivamente. Quello è un impianto che va tenuto sotto controllo e quindi la magistratura non va imbavagliata, deve poter intervenire quando c’è un problema. Attualmente, invece, quegli impianti sono protetti da uno scudo penale. È vergognoso.

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Foto del MISE

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intervista Alessandro Marescotti

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    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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