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Il salario minimo esce dall’agenda del governo

salario minimo - assemblea confindustria ANSA

Mentre il governo si appresta a tagliare le tasse a chi guadagna tra 28 ed i 55 mila euro ed abolire l’Irap, alla maggioranza dei lavoratori che non arriva neppure a 28 mila l’anno rimangono solo i salari da fame. Anzi: il giornale di Confindustria ci informa, con malcelata soddisfazione, che l’unica norma ipotizzata, che avrebbe portato fuori dalla povertà qualche milione di lavoratori, il salario minimo, è ormai archiviata.

Come mai? Da una parte l’Europa si limiterà ad una raccomandazione, invece che una Direttiva, e non la considera più tra le riforme necessarie ad ottenere i fondi per il Recovery Plan. Dall’altra, spiega il Sole24ore, essendo un cavallo di battaglia dei 5stelle, dopo la sconfitta alle elezioni, è fuori dall’agenda. Insomma: una norma sociale fondamentale trattata come scalpo elettorale, in una tornata amministrativa in cui non era neppure tema di dibattito ma che deve fare i conti con metà degli elettori che sono rimasti a casa.

L’ipotesi di una legge sul salario minimo orario era stata prima inserita poi tolta in tutta fretta dal PNRR dopo le proteste degli industriali, e bocciata anche da colui che è considerato l’ala sinistra del governo, il ministro del lavoro Orlando che se ne è lavato le mani perché, parole sue, “anche i sindacati sono contrari”. Una posizione molto anomala quella dei sindacati italiani – unica nei paesi che adottano il salario minimo – che hanno esplicitamente osteggiato anche l’apertura di un dibattito sul tema, come nel caso di Cisl e Uil, o indirettamente, come nel caso di CGIL che rivendica prioritariamente una legge sulla rappresentanza. Atteggiamento che stride con la presa d’atto con cui hanno invece avallato lo blocco dei licenziamenti, dopo un’opposizione che il governo però non ha tenuto nella medesima considerazione.

Eppure anche il PD, che per parola dei suoi dirigenti le elezioni le avrebbe stravinte, ha presentato una propria proposta di legge: perché non la mette a disposizione di un dibattito a cui prendano parte gli oltre 5 milioni di lavoratori poveri, se la “svolta sociale” di Letta è reale e non solo a parole? Perché non rimette al centro il tema del lavoro e del salario fuori dai ricatti decennali: o l’occupazione o il salario rivelatesi nient’altro che strumenti di ricatto sulla testa dei lavoratori?

La questione salariale in Italia – con la percentuale di lavoro povero tra le più alte in Europa, i salari tra i più bassi così come l’andamento del costo del lavoro in picchiata- non può essere rimossa così, cancellata con un tratto di penna in una ripicca elettorale.
Al governo interessa qualcosa di chi lavora? Considerato che anche la tanto sbandierata legge sulle delocalizzazioni ha fatto la stessa fine del salario minimo, come si dice, due indizi fanno una prova.

  • Autore articolo
    Massimo Alberti
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