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Il conflitto in Medio Oriente peggiora di ora in ora

Medio Oriente ANSA

Il quadro in Medio Oriente sta peggiorando di ora in ora. Non siamo ancora di fronte a a una guerra totale tra Israele ed Hezbollah, ma siamo comunque nel pieno di un vero e proprio conflitto regionale: Israele da una parte, l’asse della resistenza guidato dall’Iran dall’altro. Nelle ultime ore – oltre al grosso raid israeliano su Beirut – ci sono stati intensi bombardamenti sul sud del Libano e sul nord di Israele.

La macchina militare israeliana è ormai impegnata su più fronti. Ma appunto il quadro non è ancora quello di una guerra totale. Entrambe le parti, Israele ed Hezbollah, hanno ancora dei timori ad andare oltre.

In un modo o nell’altro ci sono ancora dei freni. Quali sono?
Hezbollah sa che una guerra totale avrebbe un impatto pesantissimo su un paese già in ginocchio per una crisi economica antica di alcuni anni. Oltretutto gli stessi bombardamenti israeliani di questi mesi sul sud del Libano hanno fatto grossi danni al settore agricolo, oltre a provocare l’evacuazione di circa 150mila persone.
In Libano starebbe crescendo il sentimento anti-israeliano, che non è la stessa cosa di un appoggio incondizionato a Hezbollah. Ma nonostante questo le responsabilità per le imprevedibili conseguenze di una guerra totale non potrebbero che cadere sull’organizzazione sciita alleata dell’Iran.

Oltretutto questo discorso – il timore di una guerra totale per le ricadute interne – vale anche per l’Iran, che attraverso i suoi alleati punta sì a indebolire e a mettere in crisi il suo nemico storico, Israele appunto, ma allo stesso tempo sa di non poter reggere una guerra aperta. E poi dal punto di vista di Tehran Hezbollah deve essere una costante spina nel fianco per Israele. Una guerra totale potrebbe invece azzerare il suo potenziale per un importante periodo di tempo.
Tutto questo ci conferma come gli Hezbollah e il loro sponsor iraniano siano in difficoltà. Ma il gruppo libanese ha in ogni caso un grosso arsenale. Missili, in buona parte iraniani, potenzialmente in grado di colpire tutto il territorio israeliano. In sostanza la minaccia è decisamente superiore a quella di Hamas. E sappiamo la fatica che sta facendo l’esercito israliano contro il gruppo palestinese.

Netanyahu sembra proprio volere una grossa campagna militare contro Hezbollah. Ancora più grossa di quella già operativa. Ma sa che ci sono dei rischi. È stato lo stesso ministro della difesa israeliano, Gallant, a parlare di opportunità ma anche di rischi nel conflitto sul fronte nord. Sappiamo come potrebbe cominciare un conflitto regionale. Anche perché in fondo, come dicevamo, è già cominciato. Ma non sappiamo come potrebbe finire. Per tutti gli attori coinvolti.

  • Autore articolo
    Emanuele Valenti
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    Un consiglio per la pace a Gaza. Il "board" di Trump, un CdA che gestirà un business miliardario

    Si chiama “Board of Peace” e Donald Trump, il presidente degli Stati Uniti, l’ha pensato come il grande consiglio che guiderà – sulla carta - la ricostruzione di Gaza. Il disegno immaginato da Trump non prevede l'intervento degli organismi internazionali che hanno retto la sovranità del diritto per decenni. Nel futuro di Gaza – almeno per ora – non sono previste presenze come le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio. Il "Board of Peace" richiama molto l’idea di un consiglio di amministrazione (un “board”, appunto), che dovrà gestire un affare economico e finanziario colossale, un consiglio che avrà Trump come presidente. Il piano Trump in 20 punti, al paragrafo 9 recita: "Questo organismo (Board of Peace, ndr) definirà il quadro di riferimento e gestirà i finanziamenti per la ricostruzione di Gaza". Gestirà i soldi, proprio come un CdA che si rispetti. E le logiche finiranno per essere quelle del business e non della convivenza internazionale; dell’interesse privato e non dell’interesse pubblico; dell’autoritarismo che oscura la democrazia. Raffaele Liguori ha intervistato Fabio Armao, docente di relazioni internazionali all’università di Torino. È autore, insieme a Davide Pellegrino, di “Distopia americana. L’impatto della presidenza Trump sul sistema politico americano” (Mimesis, in uscita).

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