
Da oggi l’istituto penale per i minorenni di Milano Beccaria avrà un imam: Abdullah Tchina, 58 anni, già imam della comunità islamica di Sesto San Giovanni. Tchina affiancherà il lavoro dei due cappellani storici del Beccaria, don Claudio Burgio e don Gino Rigoldi. È il primo esperimento di questo tipo in Italia. Nel minorile di Milano il 78% dei detenuti sono stranieri e l’87% di questi proviene da paesi di religione islamica.
L’ingresso dell’imam al Beccaria è regolato da un protocollo firmato dalla Procura, dalla Diocesi, dal Centro di giustizia minorile, dalla direzione del Beccaria. “La prima cosa che dobbiamo fare è ascoltare questi ragazzi e farli sentire parte di questa società”, ci ha detto Abdullah Tchina intervistato da Roberto Maggioni.
Come nasce questa iniziativa?
Su richiesta dell’amministrazione del carcere Beccaria, del Tribunale per i Minorenni e dei cappellani del Beccaria. È emersa l’esigenza di una figura religiosa musulmana all’interno dell’istituto. Purtroppo, si è registrata una presenza significativa di ragazzi di fede islamica che vivono disagi anche sul piano culturale e religioso. La Diocesi di Milano si è rivolta a noi, e insieme abbiamo cercato una soluzione concreta.
Quale sarà il suo ruolo all’interno del carcere?
Non entro come mediatore culturale, come avviene spesso, ma come imam, quindi con una funzione religiosa vera e propria, analoga a quella del cappellano cristiano. È un’esperienza nuova, unica nel suo genere, che vuole portare supporto spirituale e morale ai ragazzi musulmani detenuti.
Che tipo di lavoro svolgerà con i ragazzi?
Prima di tutto l’ascolto. Capire le loro preoccupazioni, far sentire che c’è qualcuno che li pensa, che può accompagnarli, dare loro una parola, una guida. Offrire speranza. Naturalmente sempre nel rispetto delle regole, della legge, collaborando con le istituzioni. Ma anche con l’idea di seguirli dopo la scarcerazione, aiutandoli a trovare una comunità che possa orientarli e includerli, se lo desiderano.
Ha già avuto esperienze simili?
Sì, collaboriamo da anni con la Diocesi di Milano su vari progetti, tra cui un campus internazionale dei giovani che ha coinvolto musulmani, cristiani e ragazzi di tutta Europa. Inoltre, operiamo da tempo nel carcere di San Vittore, nel reparto dei giovani adulti: molti di quei detenuti provengono proprio dal Beccaria. Anche lì portiamo un messaggio di ascolto, rispetto delle regole e della religione, cercando di risvegliare la loro coscienza e di aiutarli a reinserirsi attraverso lo studio o l’apprendimento di una professione.
Quanto durerà il progetto al Beccaria?
Il protocollo firmato con le varie istituzioni ha una durata di due anni, ma l’obiettivo è quello di proseguire e ampliare l’esperienza. È un progetto pilota, il primo in Italia in un carcere minorile in forma così strutturata. Spero davvero possa diventare un modello replicabile in altre regioni.
Cosa distingue questa esperienza da altre?
Il fatto che l’imam entra come guida religiosa, non come figura culturale. Questo cambia profondamente il significato del nostro intervento. Non siamo lì solo per mediare, ma per portare un accompagnamento spirituale autentico, in piena sintonia con le altre figure religiose presenti. Al Beccaria, ad esempio, collaborerò con il cappellano cristiano: il dialogo interreligioso è parte integrante di questo percorso.
Che messaggio vuole dare a questi ragazzi?
Che non sono soli. Che la loro fede può essere una risorsa e non un ostacolo. Che possono ritrovare un orientamento, un equilibrio. E che la società, se trovano il modo giusto di rientrarci, ha ancora bisogno di loro.