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Il generale Milley e la guerra politica di Trump

Mark Milley

Il primo atto di Pete Hegseth come segretario alla difesa è un atto contro un altro militare. Hegseth ha infatti annunciato che Mark Milley, l’ex capo dell’esercito, verrà privato della scorta, della sicurezza. E che su di lui parte un’indagine, per rivedere il suo grado. Quindi, eventualmente, Milley potrà essere degradato.

La storia del generale Milley è indicativa di come vanno le cose in questi giorni in America. Milley è stato nominato a capo dell’esercito statunitense nel 2019 da Donald Trump, rimasto affascinato dal suo curriculum di combattente e dal carattere tutto d’un pezzo, poco incline ai compromessi. È stato proprio questo carattere a metterlo rapidamente in conflitto con Trump. La rottura pubblica, ufficiale, avvenne quando Milley si scusò pubblicamente per aver camminato insieme a Trump attraverso Lafayette Square, a Washington, dopo che proprio l’esercito aveva sgomberato la piazza di manifestanti pacifici. Una photo opportunity, per Trump, per mostrarsi presidente duro, inflessibile, che però, riconobbe Milley, creò la percezione che l’esercito avesse preso posizione in una questione di politica interna. Non lo dovevo fare, riconobbe Milley.

In quei mesi, il capo dell’esercito ebbe comunque il senso di un presidente difficile da contenere, capace di qualcosa di improvviso e minaccioso, proprio dal punto di vista militare. Per questo, Milley telefonò alla sua controparte cinese, per assicurare che gli Stati Uniti non intendevano colpire la Cina. Quando poi Trump perse le elezioni, e il 6 gennaio i suoi supporter attaccarono il Congresso, il 6 gennaio, Milley fu categorico nel condannare l’assalto.

Il messaggio che il generale inviò alle sue truppe, al momento della pensione, fu altrettanto inequivocabile. Voi giurate per difendere la Costituzione. Non un re, una regina, un tiranno, un dittatore o uno che vorrebbe fare il dittatore. Milley non avrebbe potuto essere più chiaro, nel suo riferimento. E Trump, ovviamente, capì il riferimento, tanto che disse: Milley è colpevole di tradimento e dovrebbe essere messo a morte.

Milley non può più essere messo a morte. Il generale è infatti uno di quelli per cui Joe Biden ha emesso una grazia preventiva. Trump non può quindi sbatterlo in galera. Ma può, appunto, cercare di macchiare la sua carriera di militare. Trump ha già ordinato che il busto del generale, che come quello di tutti gli altri capi dell’esercito fa mostra di sé per i corridoi del Pentagono, venga rimosso. È stata decisa poi la cancellazione della scorta che Milley, come l’ex ambasciatore all’ONU John Bolton e l’ex segretario di stato Mike Pompeo, aveva a disposizione. Tutti e tre sono sotto minaccia iraniana. Bolton e Pompeo per le sanzioni contro Teheran. Milley per aver progettato l’assassinio del generale iraniano Qassim Suleimani. Ed è stata aperta un’indagine sulle presunte responsabilità del generale Milley nell’indebolimento della catena di comando, avendo messo in discussione l’autorità del commander in chief, Donald Trump.

Milley non può essere arrestato, perché, appunto, Biden gli ha dato la grazia preventiva. Ma può essere degradato. Questa è l’America, gennaio 2025.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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