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Il fenomeno Squid Game

Squid Game

Squid Game ha già conquistato il Mondo! Nel febbraio 2020, poco prima che la pandemia cambiasse i connotati del mondo, la notte degli Oscar vedeva per la prima volta trionfare un film non in lingua inglese: il sudcoreano Parasite, del regista Bong Joon-ho. La storia era quella di una famiglia – padre, madre e due figli – sommersa dai debiti che tirava a campare in uno scantinato e che, mentendo sulle proprie competenze e sul proprio curriculum, riusciva a farsi assumere come servitù di una famiglia enormemente più abbiente e a “occuparne” la meravigliosa magione a più piani. Una storia di divario di classe in cui la lotta era solo per la sopravvivenza, e la denuncia desolante era quella di un’impossibile coscienza collettiva, e quindi di un altrettanto impossibile solidarietà tra ultimi.

Scritta e diretta meravigliosamente (e infatti Bong fu premiato sia per la sceneggiatura originale sia per la regia, oltre che per miglior film e miglior film internazionale), riprendeva temi che all’autore sono cari da sempre, e che aveva già esplicitato nel suo primo film “occidentale”, Snowpiercer, ambientato su un treno che ospitava gli ultimi sopravvissuti dell’umanità, con una divisione in classi rigidissima corrispondente a quella dei vagoni. È inevitabile ripensare a Parasite e a Snowpiercer oggi che una serie coreana è diventata, in sole due settimane, la serie non in lingua inglese più vista su Netflix in tutto il mondo e – secondo le dichiarazioni rilasciate dal capo della piattaforma Ted Sarandos – si avvia a essere la serie di Netflix più vista tout court, superando portenti come Bridgerton e The Witcher.

Parliamo ovviamente di Squid Game, e se passate anche qualche minuto al giorno del vostro tempo sui social network non potete non averla già incontrata: una parte considerevole del suo enorme successo globale deriva dall’aver generato una grande quantità di meme, cioè i tormentoni del web. In un modo simile a La casa di carta, Squid Game può contare su elementi grafici iper riconoscibili, insieme bizzarri e affascinanti: le tute colorate, le architetture psichedeliche ispirate a quadri di Escher, i simboli ricorrenti, etc. E poi, naturalmente, c’è la trama, adrenalinica, violenta e appassionante: Squid Game racconta di un eterogeneo gruppo di persone in estrema difficoltà economica – schiacciate dai debiti, rincorse dagli strozzini, senza lavoro, etc. – e/o sociale – il criminale, l’immigrato, la paria nordcoreana – che vengono convinti a partecipare a una misteriosa gara. Dovranno giocare a sei “semplici” giochi per bambini – come il nostro Un, due, tre… stella! per esempio – e se riusciranno a vincere riceveranno un enorme premio in denaro.

Se perderanno verranno eliminati. Nel senso più letterale del termine, cioè uccisi. Un ulteriore machiavellico twist consiste nell’aumentare del montepremi ogni volta che un concorrente muore. L’idea di fondo non è, naturalmente, originale, anzi ha illustri precedenti letterari e cinematografici che vanno da La pericolosa partita a Hunger Games, da Battle Royale a Il signore delle mosche, combinando elementi della fantascienza postapocalittica con quelli della distopia e della critica sociale, oltre che con le infallibili dinamiche del gioco (le stesse che rendono così coinvolgenti i reality e i talent show).

Rispetto a tanti predecessori, però, Squid Game non si colloca in un ipotetico futuro o in una realtà alternativa, ma, proprio come Parasite, si svolge tranquillamente nella nostra contemporaneità segnata da enormi disuguaglianze, una realtà che non è certo limitata alla Corea del sud (per quanto la serie, fanno notare gli esperti, si costruisce anche su molte specificità sudcoreane). Tra i suoi aspetti più interessanti, c’è anche il fatto che nessuno – non Netflix, non l’autore Hwang Dong-yuk, che ci lavorava addirittura dal 2008 ma non aveva finora trovato produttori – si aspettava un tale successo, immediato e contemporaneo, in tutto il mondo: un segno che, per quanto possano essere potenti gli algoritmi dello streaming, nulla batte il caro vecchio e inarrestabile passaparola.

  • Autore articolo
    Alice Cucchetti
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    1) 25 novembre, quando lo stupro è un’arma di guerra. Nel Sudan sconvolto dalla più grave crisi umanitaria al mondo, migliaia di donne e bambini sono vittime di violenza di genere. (Stefano Piziali - Cesvi) 2) Ucraina, mentre i negoziati per un accordo tra Mosca e Kiev continuano, il piano per la pace Statunitense spacca l’amministrazione americana. (Roberto Festa) 3) La peggiore crisi economica mai registrata. L’occupazione israeliana in Cisgiordania e la distruzione e Gaza hanno provocato un crollo senza precedenti nell’economia palestinese, riportando il paese indietro di decenni. (Allegra Pacheco - West Bank Protection Consortium) 4) “A Dankirque non si vive, si sopravvive”. Sulle coste francesi la situazione umanitaria delle persone migranti peggiora giorno dopo giorno e lo stato non si assume le sue responsabilità. (Veronica Gennari) 5)Lo scandalo di pedofilia che ha sconvolto il vescovo di Cadice è un caso senza precedenti nella chiesa spagnola. (Giulia Maria Piantedosi) 6) Rubrica sportiva. Dopo 52 anni, la nazionale di calcio di Haiti si qualifica per i mondiali. Un risultato storico e prezioso per un paese distrutto dalla violenza. (Luca Parena)

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    In Sudan la violenza di genere e lo stupro usato come arma di guerra sono all’ordine del giorno. Nel mezzo della crisi umanitaria più grave del mondo, migliaia di donne e bambini sono vittime di un conflitto che si consuma anche sui loro corpi. La ong italiana Cesvi lavora sul campo per offrire supporto psicologico alle donne e alle loro famiglie. Martina Stefanoni ne ha parlato con Stefano Piziali, direttore generale di Cesvi

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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    È appena uscito “Trovarsi soli all’improvviso”, il nuovo album del musicista e produttore milanese Marco Giudici, oggi ospite di Volume. “Volevo fare dalla musica ambient, come atto terapeutico per me stesso… ma poi si è trasformata in qualcos’altro”, racconta il cantautore sulla genesi dei brani. Il disco, che per il titolo trae ispirazione da una poesia scritta dal nonno dell'artista, è un racconto intimo e delicato che parla di solitudine, fragilità e distacco, ma anche del coraggio di andare avanti e di cambiare, lasciando indietro alcune parti di sé. L'intervista e il MiniLive di Marco Giudici.

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    Le iniziative del 25 novembre e DonneXstrada che di violenza di genere, parla tutto l'anno. Vuoi segnalare un evento, un’iniziativa o raccontare una storia? Scrivi a vieniconme@radiopopolare.it o chiama in diretta allo 02 33 001 001 Dal lunedi al venerdì, dalle 16.00 alle 17.00 Conduzione, Giulia Strippoli Redazione, Giulia Strippoli e Claudio Agostoni La sigla di Vieni con Me è "Caosmosi" di Addict Ameba

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    Le comedians contro la violenza sulle donne al Teatro Lirico di Milano

    Oggi a Cult Mary Sarnataro ci ha parlato di “Zitte mai!”, la serata speciale in scena al teatro Lirico di Milano, che un gruppo di comedians, capitanate da Deborah Villa, dedica all'associazione Cerchi nell'Acqua, che da anni è vicina alle donne vittime di violenza. A partire dalla libertà di esprimersi, la prima che viene a mancare quando una relazione diventa prevaricante, l'appuntamento sarà l'occasione per riflettere sulla violenza sulle donne, usando lo strumento della comicità. L’intervista di Ira Rubini.

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