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Il caos prima di Brexit

Disordine, catastrofe, incognite. Sono le parole che si sono sentite più spesso, durante la lunghissima notte elettorale in Gran Bretagna.

La premier Theresa May ha perso la sua scommessa: non ha avuto il mandato largo che aveva chiesto. Con quattro seggi ancora da assegnare, i conservatori hanno 315 seggi (meno 12 rispetto al 2015); i laburisti 261 (più 31). In recupero anche i liberal democratici, che conquistano 5 seggi in più rispetto al 2015, mentre arretra lo Scottish National Party (che perde 19 seggi). Scompare praticamente dalla mappa politica lo Ukip, il partito anti Europa e anti immigrazione.

Nel risultato ha contato, con ogni probabilità, una delle peggiori campagne giocate da un politico in carica, nella storia inglese. Una campagna, quella di Theresa May, segnata da gaffe, slogan ripetuti a memoria, voltafaccia, per esempio sulla “dementia tax”, oltre a una gestione debole degli attacchi terroristici.

Di segno completamente diverso la strategia di Jeremy Corbyn, che si è presentato agli elettori con un messaggio chiaro: fine dell’austerità, ritorno a politiche di investimento nell’educazione e nella sanità, rinazionalizzazione di ferrovie e sistema idrico, aumento delle tasse per le grandi corporations e per chi guadagna più di 80 mila sterline all’anno.

E’ un messaggio – di speranza e investimento nel futuro – che ha fatto breccia soprattutto tra i più giovani. Il tema dell’affluenza al voto dei giovani è sicuramente una delle chiavi del successo laburista. Ha votato il 66 per cento, 4 per cento in più rispetto al 2015, e molti di questi dovrebbero essere elettori tra i 18 e i 25 anni.

Hanno contato poi, ovviamente, altre cose. La disfatta dello Ukip non ha portato voti ai conservatori. Anzi, molti dei voti di Ukip sono tornati a chi appartenevano, cioè ai laburisti, soprattutto nelle aree del nord industriale.

A questo punto l’orizzonte è un governo di coalizione, a guida conservatrice o laburista, se i laburisti trovano gli alleati, ma anche un governo di minoranza, che dovrà ogni volta, su ogni singolo provvedimento, chiedere il voto dei partiti minori. Ne esce indebolito lo scenario politico nazionale. Ne esce indebolita la forza contrattuale della Gran Bretagna a Bruxelles. Se queste elezioni sono state convocate da Theresa May per avere più forza al tavolo dei negoziati, è proprio la forza ciò che manca alla Gran Bretagna in uscita dall’Europa.

  • Autore articolo
    Roberto Festa
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    Legge sul consenso, il governo non può tornare indietro

    La legge sul consenso si ferma al Senato perché la presidente della Commissione Giustizia Giulia Buongiorno vuole correggerla, ma la Lega esprime anche dubbi generali sulla necessità di una legge che definisca il consenso. Secondo Alessandra Maiorino, vice-capogruppo M5S Senato e Coordinatrice Comitato Politiche di Genere e Diritti Civili: “Da noi al Senato il provvedimento è arrivato tardi, da una parte c’è una questione strumentale per cui la Lega vuole più tempo, dall’altra parte c’è una questione reale, vogliamo leggere e approfondire il testo, quindi non trovo lunare la richiesta di prendere più tempo”. Insomma l’accordo c’è per approvare la legge. “L’importante è che il 609 bis che punisce la violenza sessuale agita finora con violenza, minaccia o abuso di potere, sia adegui a quello che dice la giurisprudenza: non servono il sangue, i lividi, le botte o le minacce perché ci sia violenza sessuale, basta che quell’atto sia stato compiuto senza il consenso della donna”. L'intervista di Cinzia Poli e Claudio Jampaglia.

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