Alla fine sono andati via e non sono successi incidenti. Non è poco ma erano talmente sfiniti e svuotati che non avrebbero forse potuto ribellarsi ancora. Il loro destino era segnato e comunque per i bambini un capannone fatiscente e puzzolente potrebbe essere meglio del fango e della polvere. E i bambini a Idomeni erano la maggioranza. Piccolissimi e tantissimi. Sopravvissuti alla guerra e al viaggio, e ora anche a Idomeni. Un miracolo che siano tutti vivi. Anzi, ne sono nati anche alcuni e di loro non si sa nemmeno la nazionalità.
“Avevano lo sguardo vuoto e sono rimasto impressionato”, ha detto un membro di Medici senza frontiere. Gli adulti avevano lo sguardo vuoto di chi ha perso le speranze di un sogno grandissimo.
Il sogno di una grande Europa, bella, sana, ricca, umana e solidale. Come pensavano fosse, l’Europa. Come noi non siamo stati capaci da costruire e forse ora è troppo tardi.
Il loro sacrificio è stato pubblico e enorme. Un osceno reality show a disposizione di stormi di fotografi, giornalisti, volontari e di chiunque volesse vedere dal vero il criminale esperimento di riportare alle caverne un popolo di 15mila persone civili e già vittime di dittature mostruose e in fuga dalle devastazioni e dal sangue a fiumi. Ho visto anche passare un bus di “turisti” che ha attraversato tutto il campo. Non potevo crederci nemmeno io e nessuno lo ha fotografato.
Nel momento di massimo affollamento erano circa 15mila, rimasti incastrati nell’ingranaggio del ponte levatoio che l’Europa ha alzato e chiuso, improvvisamente. Era marzo. L’Austria, noto Paese povero e arretrato che, abbiamo capito proprio ora, è popolato per metà di neonazisti, chiuse le paratìe e rimasero incastrati in 15mila a Idomeni, ma ve ne sono alcune centinaia anche di fronte, a Gevgelja e a Tabanovce in Fyrom Macedonia, a Presevo e a Sid in Serbia, e a Slavonski Brod in Croazia.
Ne arrivano anche qualche decina a Belgrado dalla Ungheria. La quale probabilmente non è così sbarrata come si dice.
Vogliamo dire 17mila in tutto? Poi dalla Turchia non ne arrivano quasi più in Grecia, arriveranno in Italia, come al solito.
Quanti sono i Paesi Ue? Ventotto.
17.000 diviso 28 fa 607, di cui la metà circa sarebbero stati bambini piccoli. Seicentosette per Paese europeo e Idomeni finiva bene come meritava di finire. Solo 607.
Meritava per questa gente che si è sacrificata per smascherare, invece, la nostra faccia di cera, sciolta dalla vergogna o dal furore. Siamo divisi a metà come gli austriaci. Metà vergogna e metà furore, se va bene.
Sono milioni gli europei che gioiscono a ogni naufragio e che avrebbero voluto sterminare Idomeni. Vivono accanto a noi. Li trovate facilmente e fanno ribrezzo.
Il reality Idomeni ha realizzato la più perfetta sceneggiatura e scenografia per rappresentare la nuova Europa dei muri e dei fili spinati. Migliaia di persone accalcate a un cancello chiuso per mesi. In una spianata balcanica. Sotto nubifragi, tempeste di vento, allagamenti e vortici di polvere. Nessun regista avrebbe saputo fare di meglio.
Ieri sera Adriano Sofri, presentando il libro di Wlodek Goldkorn Il bambino nella Neve, ci parlava del filo spinato di Auschwitz che viene cambiato periodicamente con uno analogo, cioè fatto alla vecchia maniera. Sofri si chiede dove lo facciano ancora, visto che oggi il filo spinato “moderno” è tecnologico e totalmente diverso da quello qualche decennio fa. Lo spiegava a degli studenti dicendo che si tratta di un business destinato a crescere, quello dei filo spinato…
I miei amici conosciuti nelle settimane che ho passato a Idomeni continuano a mandarmi foto di cosa è rimasto nel campo e di dove sono finiti.
Ora, dato che da febbraio ho speso oltre cinquemila euro, i miei fondi sono finiti e non so se potrò andare a trovarli nelle loro nuove dimore, ma vi invio le foto che parlano da sole. Col caldo negli hangar non so cosa succederà.
Il punto è che non si ha idea di quanto dovranno restare in questi posti.
Ci sono molte associazioni di volontari che stanno cercando di affittare appartamenti per queste persone e chi ha ancora soldi se li affitta per conto proprio. Ma la massa è piazzata nei capannoni a tempo indeterminato e destino ignoto.
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Questo di sette è il più grandioso giorno, pien di speme e di gioia: di man tristezza e noia recheran l'ore, ed il travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno.
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