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I bombardamenti americani su Sirte

I bombardamenti statunitensi sulle postazioni di Daesh a Sirte, in Libia, continueranno e quelli di ieri non sono isolati. E’ la conferma che viene da Washington. Dal fronte in realtà le notizie scarseggiano. Non vengono fornite informazioni su dove siano stati effettuati questi bombardamenti e contro quali obiettivi, e soprattutto non si dice nulla sugli effetti.

I velivoli Usa sono partiti dalla portaerei Wasp, che naviga nel Mediterraneo di fronte alle coste libiche. Secondo fonti locali, sarebbe stato colpito il centro congressi, usato dal sedicente Califfato come base di comando. Il portavoce militare libico, Al Ghosry, ha annunciato l’arresto di un capo di Daesh, mentre tentava di fuggire via mare, ma non ha fornito la sua identità.

L’avvio delle operazioni statunitensi in territorio libico è stato annunciato ieri, prima dal premier incaricato Sarraj e poi confermate dal Pentagono. In una conferenza stampa trasmessa, in diretta televisiva, Sarraj ha annunciato di aver chiesto agli Stati Uniti di dare un sostegno nella lotta contro Daesh a Sirte. Sarraj ha voluto sottolineare che questi bombardamenti statunitensi non sono una violazione della sovranità del Paese e che hanno un termine temporale e geografico.

Dal Pentagono informano che, sulla base della richiesta del governo di unità nazionale, il presidente Obama ha dato il via libera ai bombardamenti su Sirte, dopo le consultazioni con il ministro della difesa, Ash Carter. “Le operazioni mirano a negare a Daesh (Isis) porti sicuri in Libia per attaccare gli Stati Uniti e i loro alleati”, giustifica il Pentagono.

Tutt’e due le parti sottolineano che non ci sarà l’utilizzo di truppe di terra statunitensi, anche se fonti militari libiche avevano parlato della presenza a Misurata di consiglieri britannici e statunitensi già da maggio.

La guerra contro Daesh è iniziata dal governo Sarraj lo scorso 12 maggio con il sostegno delle milizie di Misurata, che sono riuscite a cacciare i jihaidsti dai villaggi nei dintorno di Sirte e liberare diversi quartieri e centri alla periferia di Sirte. Nelle operazioni sono intervenute da Est anche le Guardie degli impianti petroliferi, alleate del governo Sarraj. Con questa operazione a tenaglia, i miliziani del Daesh sono rimasti assediati da tre lati e a nord dal mare, dove è stato imposto un blocco navale con le piccole unità della marina libica.

L’operazione negli ultimi giorni si è rallentata a causa della presenza degli abitanti tenuti come scudi umani da Daesh e dalle mine e trappole esplosive disseminate dai jihadisti. La scorsa settimana, in un’esplosione sono morti 23 soldati in seguito a un attacco all’autobomba con un jihadista suicida. I cecchini nascosti nei palazzi hanno frenato l’avanzata delle truppe. In due mesi e mezzo di battaglie sono caduti tra le file governative 354 soldati e oltre 2 mila feriti. La richiesta agli Stati Uniti ha l’obiettivo di aprire la strada alle truppe governative, distruggendo le postazioni dove sono asserragliati i seguaci del falso Califfo.

La questione di chiedere aiuto agli Stati Uniti creerà difficoltà al governo Sarraj, che in precedenza ha criticato la presenza di consiglieri militari francesi a Bengasi, a fianco dell’esercito nazionale libico guidato dal generale Haftar, avversario di Sarraj. Il premier incaricato nella sua comunicazione in diretta telvisiva ha sottolineato ripetutamente che non ci saranno truppe statunitensi sul suolo libico, ma soltanto un sostegno dal cielo per sfiancare i daeshisti con bombardamenti mirati.

L’impegno diretto degli Stati Uniti in Libia segna una svolta rispetto alla fase precedente nella quale Washington aveva delegato agli alleati europei e in particolar modo al’Italia la guida dell’intervento occidentale nel paese arabo nord-africano. Le divisioni di strategie e di interessi con gli altri Paesi occidentali, Francia in primis, ha portato il presidente Obama a intraprendere un coinvolgimento diretto.

Con quali effetti sul debole governo Sarraj lo diranno i risultati sul terreno per la conquista di Sirte. Se la battaglia conto il sedicente Califfato sarà coronata da vittoria, gli avversari del governo di unità nazionale, dal generale Haftar al presidente del Parlamento Aqila Saleh, dovranno arrivare a un accordo con lui. Altrimenti il premier incaricato sarà divorato dalle stesse milizie islamiste che lo sorreggono e proteggono nella capitale Tripoli.

 

Secondo il ricercatore dell’Ispi Arturo Varvelli, sono almeno due le ragioni che hanno spinto Serraj a chiedere l’intervento, e gli Usa ad accettare. Ma non sarà comunque una guerra breve.

“Da un lato serviva provare a sbloccare lo stallo creatosi dopo che le truppe governative avevano ormai isolato l’Isis al centro di Sirte: come già in Siria, combattere ‘casa per casa’ è molto più difficile. I raid dunque potrebbero dare un nuovo impatto e una svolta al conflitto. L’altra ragione – continua Varvelli – è politica: per il governo Serraj l’appoggio internazionale serve riguadagnare la fiducia delle milizie che si sentivano anch’esse isolate. Anche se è un’arma a doppio taglio, perché lo espone alle accuse di essere un ‘governo fantoccio’ degli Stati Uniti.”

Per gli Usa l’idea sarebbe tentare di dare una spallata come in Iraq e Siria, dove Daesh è in forte difficoltà, seppure il contesto libico sia diverso. “Molto – spiega ancora Arturo Varvelli – dipenderà dall’impatto che avranno i bombardamenti: di sicuro non chiuderanno la partita e non elimineranno Daesh, che deve appunto essere combattuto come in una guerra civile casa per casa. L’intervento però può servire a ridare fiducia alle truppe di Misurata. E’ difficile che la cosa possa risolversi a breve, anche perché non sono possibili bombardamenti massicci ma servirà individuare e colpire obbiettivi mirati”.

La nuova guerra in Libia, secondo l’esperto dell’Ispi, è appena cominciata.

Ascolta qui l’intervista di Massimo Alberti ad Arturo Varvelli

VARVELLI

  • Autore articolo
    Farid Adly
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    Di Cesare: “Sul fascismo c’è una mancanza di vigilanza culturale ed etica”

    Una casa editrice di estrema destra si iscrive alla Fiera nazionale della Piccola e Media Editoria “Più libri, Più liberi”, organizzata dall’Associazione editori italiani. Alcuni intellettuali si chiedono se sia opportuno ospitare pensieri razzisti o apologie del nazismo e come spiega la filosofa e scrittrice Donatella Di Cesare, esperta internazionale di "negazionismo" (l'ultimo suo libro per Einaudi si intitola “Tecnofascismo”): “Non discutiamo la libertà di pensiero e di pubblicazione per una casa editrice, ma l’idea della Fiera intitolata Più libri, Più Liberi a cui chiediamo se è giusto offrire questa vetrina ulteriore, così emblematica e significativa, dove verranno esposti autori e tematiche che in altri paesi europei come la Germania non sono tollerate”. “In Italia c’è una soglia molto bassa di attenzione, forse perché i temi storici non vengono approfonditi e siamo ancora nella vulgata del rigurgito del passato che ritorna o di temi folcloristici da non prendere seriamente e secondo me è un elemento critico e una mancanza di vigilanza culturale ed etica”. Ascolta l'intervista di Claudio Jampaglia e Cinzia Poli.

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    C’è un tesoro in Italia, ambito da sempre, ed è il tesoro delle Assicurazioni Generali. Chi comanda a Trieste, comanda su un pezzo importante del paese. Per 70 anni il tesoro delle Generali è stato controllato da Mediobanca, che una volta era il salotto del capitalismo familiare italiano e oggi è una solida banca milanese. Nell’ultimo anno, grosso modo, due capitalisti nostrani, non si sa se anche coraggiosi, Francesco Gaetano Caltagirone, insieme a Francesco Milleri, hanno portato a termine il colpo del secolo: con un’operazione di scambio di azioni – e con il concorso esterno del MPS, fino a qualche mese fa banca di stato - hanno cacciato i vecchi azionisti dagli uffici di piazzetta Cuccia a Milano (Mediobanca) e al loro posto ci hanno messo se stessi più alcuni amici. In questo modo l’immobiliarista e editore Caltagirone, insiene al socio un po’ litigioso degli eredi Luxottica, hanno preso il controllo di Mediobanca. E lo hanno fatto con l’aiuto del MPS, banca pubblica privatizzanda. Preso il controllo di Mediobanca, i “nostri” Caltagirone&Soci hanno cominciato a vedere terra, la costa triestina, la casa mitteleuropea di Generali. Ora, su tutta questa operazione – sommariamente sintetizzata – qualcosa non ha funzionato. La Procura di Milano sta indagando per il mancato rispetto di alcune importanti formalità da codice penale: il “concerto” non previsto, il rispetto del “mercato” e delle autorità di controllo. Aspettiamo fiduciosi che la giustizia faccia il suo corso, mentre la politica rivendica i suoi meriti, giusti o sbagliati che siano. Pubblica oggi ha ospitato il giornalista e saggista Vittorio Malagutti (Domani) e il senatore del Pd Antonio Misiani.

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