Approfondimenti

Guerriere contro i petrolieri

Sioux, Comanche, Lakota, Hualapai, Navajo, sono solo alcune dei tribù dei nativi che si sono unite  per protestare contro la costruzione dell’enorme oleodotto,il Dakota Access Pipeline (DAPL). Poliziotti e guardie private hanno usato contro di loro pallottole di gomma, spray urticanti, bastoni, i cani. Decine e decine gli arresti (141 negli ultimi giorni). Ma la repressione non ferma la protesta che dura da mesi, anzi aumenta la partecipazione e la solidarietà ai nativi,e non solo negli Stati Uniti.

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Il Dakota Access, è un progetto da 3,7 miliardi di dollari che prevede la costruzione di un oleodotto sotterraneo lungo 2000 chilometri che dovrebbe passare sotto le terre degli ultimi Sioux, 4100 nativi che abitano nella contea. Un progetto che non solo ne eroderebbe ulteriormente i territori a loro sacri, ma rischierebbe di provocare disastri ambientali. Sarebbe sufficiente infatti un guasto, anche minimo, per provocare perdite che potrebbero inquinare  il terreno e le falde acquifere di un fiume come il Mississipi.

In prima fila contro la costruzione dell’oleodotto,le native, le donne con compiti e ruoli diversi: l’organizzazione e la presenza nei cortei, dei presidi, la comunicazione, l’assistenza e le difese legali. Women’s Earth and Climate Action Network (WECAN), ha raccolto le  immagini,le storie di alcune di loro, intervistandole. WECAN  è un network tutto al femminile  composto da insegnanti, contadine, scienziate,imprenditrici, attiviste, artigiane; tra loro anche l’indiana Vandana Shiva.

Tra le figure più note nella battaglia contro il Dakota Access  c’è Tara Houska , della  Ojibwa Nation,  direttrice responsabile della campagna “Honor The Earth”(Onora la Terra), e sostenitrice di Bernie Sanders.

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“Sono venuta a Standing Rock per proteggere l’acqua e per fermare questo progetto distruttivo (Dakota Access,ndr) – dice Tara Houska – siamo stati colpiti per le nostre terre, per i nostri figli… per la nostra cultura e quel che ci rimane è minacciato dalla contaminazione e dalle distruzione. Spero che fermeremo questo progetto, le nazioni indigene qui sono sovrane.”

Intanto cresce la solidarietà internazionale, anche virtuale: sono già un milione le persone che hanno utilizzato l’applicazione di Facebook per dire ai loro amici e al mondo, che “anche io sono all’accampamento Sioux in Nord Dakota“. Solidarietà di fronte a una repressione che diventa sempre piu dura .Dieci giorni fa,durante l’assalto al campo dei Sioux 141 persone sono state arrestate e picchiate, anche in carcere,con una durezza che ha provocato le proteste degli osservatori delle Nazioni Unite. Lauren Howland (Jicarilla Apache ), rivendica orgogliosamente la propria lotta: “ Sono qui per difendere l’acqua,… per lottare per i miei figli e i figli dei miei figli e per le future generazioni.  Sono qui per proteggere queste persone, questa terra è sacra, ci sono luoghi di sepoltura”.

Joye Braun (Cheyenne River Sioux di Eagle Butte, South Dakota) è tra le organizzatrici della protesta e ricorda le parole di sua figlia: “Dobbiamo essere pronte a lottare e a portare altrove tutto quanto impariamo qui”. dakota-joye-braun

 

 

Michelle Cook è consigliera legale di Standing Rock Sioux.“Questo fium e (Mississippi,ndr) è fondamentale per la sopravvivenza di un popolo. Per me è inaccettabile che sia minacciata la sopravvivenza di un popolo, la sua identità. Stiamo combattendo contro l’oleodotto, ma  anche contro l’intero sistema di violenza…che ci ha definiti selvaggi, che ha negato la nostra umanità… Noi stiamo rispondendo, creando una comunità con i suoi valori. ”dakota-michelle-coook

 

Winona Kasto (Cheyenne River Sioux) è fiera del suo ruolo. “Sono una cuoca per la gente Lakota, cucino da circa trent’anni. E’ sempre stato importante per me esserci…dobbiamo nutrire le persone affinché restino forti, così potranno restare qui”.

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Leanne Guy ( Navajo, New Mexico; direttrice esecutiva della Southwest Indigenous Women’s Coalition). “Come donne, abbiamo un forte legame con la Madre Terra. La violenza contro la Madre Terra è violenza contro le donne. Siamo qui per dare il nostro appoggio come donne nel movimento”.

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“E’ importante per tutti noi stare con Standing Rock e aiutarli ad avere successo a fermare questo oleodotto, perché questo non è solo di Standing Rock, ma riguarda tutte le nazioni di tutto il mondo”.

Ladonna Brave Bull Allard(Standing Rock Sioux di Fort Yates, North Dakota,co-founder of the Sacred Stone Camp (co-fondatrice del Campo delle Pietre Sacre) afferma: “Se dobbiamo vivere come popolo,dobbiamo avere l’acqua, senza acqua si muore. Dal 1° aprile siamo qui  per fermare un oleodotto che danneggia la nostra acqua. Lottiamo, con la preghiera e con la disobbedienza civile. Il nostro obiettivo è non lasciarli passare”.

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  • Autore articolo
    Piero Bosio
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    Nel giorno mondiale contro la violenza sulle donne, raccontiamo con Cristina Carelli, presidente di D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, i centri antiviolenza, oltre 110 in Italia con differenze però tra Nord e Sud, con quasi 4mila operatrici in stragrande maggioranza volontarie e quasi 30mila donne “ascoltate” all’anno. “Siamo realtà aperte e sempre presenti, le donne arrivano da noi spesso senza appuntamento e si rivolgono a noi quasi sempre liberamente - spiega Carelli - perché il presupposto del nostro intervento è la libertà di scelta della donna, lo sottolineiamo perché è in corso un tentativo di trasformarci in realtà di servizio e per imporre alle donne dei percorsi standardizzati, più istituzionali e di sistema, e non costruiti per ciascuna partendo dal consenso e dalla libera scelta di ogni donna”. Sottofinanziamento, soluzioni solo punitive, negazione della dimensione politica e culturale della prevenzione, la frontiera è sempre la società. Se sono le famiglie a decidere cosa è giusto o meno per l’educazione sessuale, stiamo riproponendo il problema. “Chiediamo al governo di essere coerente: bisogna lavorare sul fronte della cultura e della prevenzione”. La violenza non è solo un atto individuale, ma è resa possibile da scelte politiche e culturali che limitano la libertà delle donne, scrive Di.Re nella campagna “Tutto nella norma” che potete trovare sul sito: direcontrolaviolenza.it

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