Approfondimenti

La guerra dei curdi ci riguarda. Molto da vicino

Guerra in Siria. Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan

Guerra in Siria. I partigiani curdi resistono all’offensiva dell’esercito turco scatenata da Erdogan. I civili curdi fuggono a decine di migliaia dalle città assediate e bombardate. Intanto si accatastano i morti.

Il dittatore della Turchia ha deciso una strategia delle armi volta al genocidio e alla pulizia etnica con la sostituzione delle popolazioni curde scacciate a viva forze.

La strategia è determinata alla distruzione di quella entità “statuale” che è il Rojava. Insopportabile con il suo impianto federalista, la sua democrazia multiculturale e multietnica, femminista, libertaria, ecologista.

Lì a due passi dalla Turchia nazional-nazionalista, senza diritti al dissenso, tutti in fila ad applaudire il dittatore. Osceno e odioso, ma molto potente anche rispetto alle cancellerie occidentali, dagli USA traditori dei curdi con cui pure avevano stretto un patto, all’Unione Europea.

Guai a urtarlo Erdogan, che tiene in pugno alcuni milioni di profughi siriani, nonché soprattutto i miliziani di Daesh o Isis che dir si voglia, i nazisti dello stato islamico sedicente. Che in un batter d’occhio potrebbero arrivare a Parigi, Londra, Roma a spargere il terrore, senza trovare alle frontiere neppure un inciampo.

L’uccisione di Hevrin Khalaf

Miliziani per ora addetti dal dittatore agli omicidi talmente odiosi che neppure l’esercito turco può reggerne la vergogna, come l’uccisione a freddo di Hevrin Khalaf, segretaria del Partito Futuro Siriano. La giovane difendeva i diritti e la libertà delle donne nonché la convivenza tra le diverse comunità, curdi, cristiano siriaci e arabi.

È stata fermata da un gruppo armato assieme ad alcuni compagni, con loro trucidata. Da jihadisti al soldo di Erdogan o forse direttamente da militanti di Daesh. Gli assassini hanno filmato e messo in rete l’esecuzione e il cadavere di Hevrin secondo una prassi del terrore psicologico e della crudeltà delle immagini consolidata tra i gruppi nazijihadisti.

C’è un video della guerra in Siria, tra i tanti pieni d’orrori visibili su YouTube che mi ha colpito per la sua totale disumana brutalità. Una signora attraversa la strada passando davanti una autoblindo turca ferma.

Non c’è traccia di battaglia né vicina né lontana. In quel mentre l’autoblindo si mette in moto e investe la donna che si abbatte lì davanti. L’autoblindo come se niente fosse invece di arrestare il suo movimento, appena agli inizi, continua la sua marcia, passandole sopra la schiaccia e s’allontana.

Strage di civili in Siria

Questo è l’esercito di Erdogan, membro della NATO, alleanza cui anche il nostro Paese partecipa. La questione non è chiedere che l’Italia esca dalla NATO, ma che la NATO butti fuori la Turchia per palese e prolungata violazione dei diritti umani e per reiterati crimini di guerra.

Però l’aggressione turca al Rojava, con l’invasione di una parte del territorio siriano da parte delle truppe di Erdogan, non è soltanto una azione di forza che cumula stragi di civili con violazioni dei diritti umani.

La protesta e l’indignazione verso la Turchia non possono nutrirsi solo del diritto di ingerenza umanitario, pur sacrosanto. E neppure solo della umana solidarietà con chi viene calpestato massacrato ucciso.

C’è una valenza politica che impone di mobilitarsi contro la guerra in Siria di Erdogan e al fianco della resistenza dei curdi, perchè dal risultato di questa battaglia dipende anche il destino d’Europa, delle nostre democrazie e libertà.

Credo che un filo possa essere tessuto tra l’attuale situazione e la guerra di Spagna degli anni ’30 nel secolo scorso. Il dittatore Franco con l’aiuto dei fascisti italiani e dei nazisti tedeschi aggredì la Repubblica spagnola, riuscendo ad abbatterla nel 1939, a un passo dalla seconda guerra mondiale.

L’intera democrazia europea è in gioco

Una analogia certo, non una meccanica sovrapposizione, perchè molte condizioni sono assai diverse, che però può aiutarci a capire la posta in gioco. La questione oggi come allora mette in gioco l’intera democrazia europea.

E la stessa questione mette in dubbio le nostre libertà, nonché la possibilità di una guerra non dico mondiale, ma quando una palla di neve comincia a rotolare, fa presto a ingrossarsi in una valanga.

Erdogan è un dittatore che opera oggi in armi contro i curdi del Rojava, ma il suo obiettivo di largo raggio è una modificazione in senso autoritario dell’Alleanza Atlantica.

Con un occhio alle cosiddette democrazie illiberali, o democrature che dir si vogliano, e un gioco di sponda con la Russia di Putin. Tutte azioni e iniziative che tra l’altro puntano a mettere in crisi l’Unione Europea e un suo sviluppo nel senso di una maggiore unità e influenza politico strategica.

Intanto rientra in campo il dittatore siriano Assad, coi curdi obtorto collo stretti tra il genocidio e questo scomodo alleato. Mentre l’UE decide un embargo per la vendita di armi alla Turchia, una misura più che altro politico simbolica, perchè come Erdogan ha sottolineato, i suoi arsenali traboccano.

Trasformare le mobilitazioni in movimenti

Se dai governi europei passiamo ai popoli, le mobilitazioni sono per ora agite da minoranze militanti, seppure consistenti.

Si tratta di trasformarle in movimenti di massa (centinaia di migliaia, se non milioni) contro la guerra in Siria di Erdogan e a favore della resistenza civile e armata dei curdi in un ventaglio di azioni e iniziative le più varie.

Dall’esposizione di bandiere curde ai balconi e alle finestre, dai sit in ai cortei, dal boicottaggio dei prodotti turchi al picchettaggio delle sue agenzie turistiche e di viaggio, dal blocco delle merci nei porti, penso per esempio ai camalli genovesi, e non mi dilungo oltre.

Saldando queste mobilitazioni con quelle ecologiste contro il cambiamento climatico, perchè il Rojava tra i suoi molti meriti ha anche quello di avere un’anima ecologica molto rilevante.

Tenendo pure presente che alcuni connazionali sono andati a combattere coi curdi e che uno di loro Orso, Lorenzo Orsetti, fu ucciso nella guerra contro Daesh. Un martire partigiano proposto da alcuni per la medaglia d’oro.

In fine. A Bologna la prima manifestazione contro la guerra d’aggressione degli USA al Viet-Nam vide camminare sotto il portico di via Rizzoli ben sette persone, coi loro cartelli e slogan!

Pochi mesi dopo erano mille, diventando poi milioni in tutto il mondo, i quali pesarono eccome nella sconfitta dell’esercito più potente del pianeta che dovette evacuare il Viet Nam scappando a rotta di collo.

Recep Tayyip Erdogan
Foto dal profilo ufficiale su Facebook di Recep Tayyip Erdogan
  • Autore articolo
    Bruno Giorgini
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    Questa settimana Elijah Wald è in Italia per portare sul palco, tra Milano, Torino e Piacenza, le sue storie su Bob Dylan e il Greenwich Village di New York. Chitarrista folk blues ma anche narratore e giornalista musicale, attraverso canzoni e racconti Wald ripercorre nel suo spettacolo il cammino di Dylan e dei tanti personaggi di quel periodo irripetibile. Da Woody Guthrie a Pete Seeger, da Eric Von Schmidt a Dave Van Ronk - quest’ultimo anche protagonista del film dei fratelli Coen “A proposito di Davis” e realizzato partendo proprio dal memoir scritto da Wald. Oggi Elijah è venuto a trovarci a Radio Popolare per raccontarci la sua storia e suonarci alcuni brani tra Mississippi John Hurt, Paul Clayton e Victor Jara. Ascolta l’intervista e il MiniLive di Elijah Wald.

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    Una mostra fotografica ripercorre i 50 anni di Radio Popolare. Dal 14 dicembre a Milano

    Domenica 14 dicembre alle ore 10, presso la Sala Cisterne della Fabbrica del Vapore, a Milano, inaugura la mostra "50 e 50. La mostra. Radio Popolare 1975 - 2025", una delle prime iniziative organizzate per celebrare il 50esimo anniversario dalla fondazione di Radio Popolare. La mostra racconta i cinque decenni "di onda" attraverso venti storie realizzate dai fotografi che in questi anni sono stati vicini alla radio. Inoltre, la mostra ospiterà un’interpretazione creativa realizzata da Studio Azzurro dei video che ricostruiscono la storia di Radio Popolare. La mostra sarà allestita fino al 25 gennaio. Tiziana Ricci ce la racconta insieme a Giovanna Calvenzi, che ne è la curatrice.

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