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Giocare a rugby e perdere la memoria. La storia di Sébastien Chabal

Sébastien Chabal

Era il 6 ottobre 2007, Coppa del mondo di rugby, quarti di finale. In campo ci sono Francia e Nuova Zelanda. Gli All Blacks completano la haka, la danza tradizionale con cui terrorizzano gli avversari prima ancora di iniziare la partita. Un giocatore della Francia però non distoglie lo sguardo. Anzi l’inquadratura stringe sui suoi occhi piantati sui rivali neozelandesi in segno di sfida. Come a dire: “Qui quelli che devono avere paura, in realtà, siete voi”.
Quelle immagini sono rimaste famose, in Francia e non solo, per ricordare come Sébastien Chabal sia stato un atleta che ama la competizione, oltre che un grande giocatore di rugby. Oggi Chabal ha 47 anni e di quei momenti, in campo contro gli All Blacks, non ha nessun ricordo.
Lo ha raccontato in un’intervista al canale Youtube Legend, in cui ha ripercorso la sua vita e la sua carriera fino ad arrivare alle conseguenze provocate da anni e anni di scontri di gioco.
“Non ricordo un solo secondo di nessuna partita di rugby che ho giocato” ha rivelato Chabal. “Non ricordo nemmeno una delle 62 partite che ho disputato con la maglia della Nazionale tra il 2000 e il 2011”. Quando rivede le immagini di sé stesso sul campo – ha spiegato Sébastien Chabal – gli sembra di vedere nei suoi panni un impostore. Gli sembra che i suoi 191 centimetri per 114 chili, i suoi capelli lunghi e la sua barba folta che gli sono valsi soprannomi come “l’Orco” o “la Bestia”, appartengano a qualcun altro.
Una condizione che non ha risparmiato nemmeno i momenti più felici della sua vita fuori dal campo, al punto che non ricorda neanche il giorno della nascita delle sue figlie.

L’intervista di Sébastien Chabal ha riportato all’attenzione un tema delicato, quello della demenza precoce per chi per anni ha praticato sport di contatto. Nel rugby, nel calcio e nelle discipline di lotta come il pugilato sono centinaia gli esempi di atleti che, soprattutto a fine carriera, hanno avuto diagnosi di malattie neurologiche. Negli ultimi anni sempre più studi scientifici hanno confermato la correlazione tra queste patologie e i traumi cranici che, spesso senza neppure accorgersene, questi atleti hanno subito per anni, migliaia di volte, nel corso delle loro carriere. Per fare solo un esempio, poco tempo fa, uno studio dell’università di Nottingham, commissionato dalla Football association inglese, ha segnalato che i calciatori hanno un rischio di ricevere una diagnosi di demenza superiore a quello della popolazione generale di oltre tre volte. Un rischio però circondato dal più totale silenzio, come se questo problema non esistesse. “Quella di Chabal è una storia allarmante che non rassicurerà i genitori quando porteranno i loro figli al campo” ha commentato il presidente del Rugby club di Sète, in Francia, Jean-Luc Fabre, come riportato anche da una copertina dell’Équipe, il principale quotidiano sportivo francese.
Nel 2023 centinaia di rugbisti, in Inghilterra e in Galles, hanno intentato un’azione legale contro gli organi di governo del rugby nazionale e mondiale, accusandoli di non aver fatto abbastanza per tutelare la loro sicurezza e la loro salute. Un dramma che andrebbe guardato dritto negli occhi, un dramma che andrebbe affrontato senza distogliere lo sguardo.

  • Autore articolo
    Luca Parena
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    La COP30 in Brasile era partita con due obiettivi: triplicare i fondi per i paesi in via di sviluppo colpiti dagli effetti del riscaldamento globale e sottoscrivere un percorso per l’uscita dalla dipendenza e dall'uso dei carburanti fossili. Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, un risultato su due è stato portato a casa. Ma chi avrebbe potuto fare pressioni per ottenere di più non l’ha fatto: gli USA assenti hanno boicottato, ma anche Cina e India, non pervenute, di fatto, mentre una Ue divisa alla fine ha battuto un colpo. Resta lo sforzo dei Paesi per raggiungere i loro obiettivi. L'analisi di Sara Milanese e il commento di Eleonora Cogo, responsabile del team Finanza in ECCO, il Think Tank sul cambiamento climatico. L'Europa cambia il piano Trump in almeno tre punti: nessuna concessione territoriale alla Russia prima del cessate-il-fuoco, un esercito per l'Ucraina più grande e nessun limite alle sue alleanze, l'uso dei fondi russi congelati in Europa per la ricostruzione (e no al 50% agli USA): sarà un piano digeribile anche per Trump? L'analisi di Federico Baccini, nostro collaboratore da Bruxelles. Infine Luigi Ambrosio inviato a Napoli per le elezioni regionali ci racconta il peso straordinario dell'astensionismo.

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