Viene pubblicato in Italia una delle ultime opere di Antonio Lapone che si intitola “Greenwich Village” ed è un importante volume edito da IF Edizioni. Antonio, hai una carriera straordinaria, hai vissuto a lungo in Belgio, adesso sei tornato in Italia, vivi a Torino. Raccontaci un po’ come hai cominciato a fare questo lavoro e soprattutto quali sono le tue fonti di ispirazione che sono così importanti per questo lavoro.
È stata anche una botta di fortuna, perché – come racconto spesso – è stato soltanto andando a Parigi che mi sono reso conto che il mio stile, più grafico, più “da fisch”, più da manifesto pubblicitario, che è poi la mia formazione da grafico, poteva legarsi anche al fumetto. In Francia, grazie alla linea chiara, mi sono detto: “Ho trovato un luogo in cui poter abitare”, cioè il fumetto di linea chiara franco-belga.
Tu questa cosa la fai benissimo, ma la fai anche sviluppando uno stile tuo, del tutto personale. Cosa racconta “Greenwich Village“? “Greenwich Village” ci racconta di un appartamento, di una realtà in condominio, di un palazzo nel Greenwich Village a New York, dove succedono avventure di vario genere e conosciamo i vari abitanti che hanno ruoli diversi, ma soprattutto c’è una fonte di ispirazione chiarissima per quelli che hanno una certa età, diciamo. Quindi, da dove siete partiti tu e Gihef, che è l’autore dei testi? Mi sembra di capire che vi siete proprio trovati su questi contenuti.
Erano la nostra infanzia: i film, le commedie brillanti americane hollywoodiane, quelle con Doris Day, con Rock Hudson, con James Stewart e chi più ne ha più ne metta. Erano quei film che ci facevano trascorrere i bei pomeriggi: nell’introduzione racconto, infatti, che li guardavo in bianco e nero a casa di mia nonna, nel pomeriggio. Io e Gihef ci siamo trovati subito d’accordo, pur essendo completamente diversi nella vita di tutti i giorni, perché quello era ciò che ci accomunava: l’idea di riportare su carta, di rimettere in pista, la vecchia commedia ma rivisitata. Nel volume, infatti, ci sono due donne completamente agli antipodi e uomini altrettanto diversi. Quindi, non abbiamo le classiche baby puppet degli anni ’60, ma due figure femminili importanti, capaci di creare un loro particolare equilibrio insieme.
I meccanismi classici della commedia, anche un po’ slapstick, ci sono ancora tutti, ma allo stesso tempo il volume è stato immaginato oggi. I disegni sono straordinari, i personaggi divertenti e la narrazione fila che è una meraviglia. È un libro corposo, perché riunisce due volumi e supera le cento pagine: un lavoro notevole. Sfogliandolo e leggendolo, ho pensato. “Mamma mia, qui ne è passata di acqua sotto i ponti”. Le citazioni e i riferimenti sono tantissimi: non solo al cinema tra la fine degli anni ’50 e la metà dei ’60, ma anche ai fumetti. C’è una meravigliosa vignetta in cui una delle nostre eroine va a fare la spesa e c’è una rivendita piena di fumetti americani dell’epoca d’oro.
Questa vignetta ha toccato molti critici. Ne abbiamo parlato anche a BookCity e il moderatore ha detto: “C’è una pagina piena di fumetti, un espositore pieno”. Quella vignetta lì penso che sia il mio piccolo Oscar.
Non c’è dubbio: anch’io sono rimasto colpito, soprattutto dalla presenza di quella che nel film era la “donna vampiro” e che in questa versione diventa la Bat Lady di “Artisti e Modelle”, celebre film di Jerry Lewis.
di Antonio Serra


