Approfondimenti

Flash dall’inferno del G8 a Genova

E’ giusto definirlo uno strappo. Per chi è sopravvissuto ha segnato un punto di non ritorno. Uno strappo lacerante, di quelli che bruciano per sempre se appena gli permetti di riaffiorare.

Parliamo di Genova, di quei quattro giorni del G8 del 2001 che come una tragedia annunciata spazzò per sempre molte delle nostre certezze. Molti commentatori definiscono quei giorni come “giorni di follia”. Ma una semplificazione di questo tipo è profondamente ingiusta e gravemente offensiva. La “follia” che in questo caso sarebbe“collettiva” da parte di coloro che sono definite forze dell’ordine, escluderebbe una pianificazione che in realtà è stata provata da testimonianze nel corso di processi, dal lavoro diretto di moltissimi giornalisti, tra cui i molti inviati di Radio Popolare, e non da ultimo dai più straordinari registi italiani. Non citeremo qui tutti gli effetti collaterali di quell’inferno in cui siamo stati calati, ma solo alcuni flash per non dimenticare mai quello che è stato.

Da giovedì 19 luglio fino a domenica 22, la città si trasforma in un incubo. Dei flash di quei giorni, ci portano alla memoria i poliziotti, che sembrano cecchini, che dai tetti cominciano dal nulla a sparare lacrimogeni sui manifestanti che percorrono il lungomare di Corso Italia e di Corso Marconi. La polizia comincia a caricare con una violenza selvaggia i manifestanti. In mezzo al corteo spuntano gruppi che indossano dei caschi delle moto. Il volto è nascosto ma sono tanti. Armati di bastoni e di spranghe. Non sono black bloc. Hanno contatti diretti con i dirigenti Digos. Di loro non sapremo mai la provenienza. E non ci basterà mai definirli “infiltrati”. Altro flash la fuga di migliaia di persone verso la collina, per mettersi in salvo. Un elicottero sopra le nostre teste, vola basso. A tratti si teme che possa arrivare qualcosa dal cielo. Ci si rifugia quasi sotto le automobili. Un altro flash ci riporta al sabato, in piena irruzione della polizia alla scuola Diaz. Dalla collina scendono solo ambulanze, non si può raggiungere in macchina la scuola. Scegliamo di salire le scale, sapendo che se compare un agente siamo spacciati. Ci butterà giù e non ci saranno testimoni a raccontare la nostra fine.

Sì, questa è stata Genova. Ma riusciamo a salire e il flash è da girone infernale. Carabinieri schierati, luci dei cellulari di polizia, l’elicottero che sovrasta tutte le urla. E le barelle piene di sangue di ragazzi che vengono portati fuori dalla scuola Diaz. Si, anche questa è stata Genova. Migliaia di persone prese in scacco, centinaia picchiate selvaggiamente nelle strade della città. Con l’uccisione di Carlo, Carlo Giuliani sappiamo che quella via di non ritorno l’abbiamo già imboccata. Nulla sarà come prima. E l’incubo prosegue con l’irruzione alla Diaz e le torture a Bolzaneto.

Anche i flash continuano, dove negli ospedali i giovani massacrati sono piantonati dai poliziotti, ci sono funzionari Digos e spuntano anche quelli della Cia. Un grande disegno in cui il movimento che voleva un altro mondo possibile viene colpito letteralmente a morte. Le diverse anime che componevano la galassia no global spariscono. Non per terrore ma per lo scempio rimasto nella memoria. Nei nostri flash.

Iniziano gli anni bui delle menzogne, delle prescrizioni in cui nessun politico italiano è stato chiamato a rendere conto dell’accaduto. Eppure in quelle ore di violenze efferate Gianfranco Fini, all’epoca vicepremier si trovava nel quartier generale della polizia a Genova. Nessuno gli ha mai chiesto di spiegare quali ordini abbia dato. La magistratura con un lavoro coraggioso coordinato dal pubblico ministero Enrico Zucca, ha ottenuto almeno la condanne ai 25 poliziotti per l’irruzione alla scuola Diaz.

Ma i punti oscuri restano sul terreno. Le piazze, i movimenti, non possono tornare ad esprimersi come in passato con questo macigno, che è ben più di un effetto collaterale, in un Paese che si dice democratico.

Effetti collaterali. Popolazione civile in pericolo è la rubrica a cura di Cristina Artoni, in onda ogni lunedì su Radio Popolare alle 9.20

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Effetti Collaterali Il G8 di Genova

  • Autore articolo
    Cristina Artoni
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    Nel cinquantenario della morte di Šostakovič il Teatro alla Scala inaugura la Stagione con il suo capolavoro Una lady Macbeth del distretto di Mcensk, tratto dal racconto di Nikolaj Leskov in cui una giovane sposa con la complicità dell’amante uccide il marito e il tirannico suocero, ma viene scoperta e finisce per suicidarsi in Siberia, tradita da tutti. Dopo il debutto a San Pietroburgo, l’opera, che avrebbe dovuto essere il primo capitolo di una trilogia sulla condizione della donna in Russia, ebbe enorme successo in patria e all’estero. Stalin assistette a una rappresentazione a Mosca nel 1936; due giorni dopo apparve sulla Pravda la celebre stroncatura dal titolo “Caos invece di musica” con cui il regime metteva all’indice l’opera e il compositore. Anni dopo Šostakovič preparò una nuova versione che andò in scena a Mosca nel 1963 con il titolo Katarina Izmajlova, dopo che il sovrintendente Ghiringhelli aveva invano cercato di ottenerne la prima per la Scala. Oggi il Teatro presenta la versione del 1934 con la direzione del M° Chailly e il debutto del regista Vasily Barkhatov. Ascolta Riccardo Chailly nella presentazione dell’opera.

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    Considera l'armadillo di giovedì 27 novembre 2025 ospite Filippo Bamberghi, coordinatore delle @Guardie WWF Italia - Nucleo Lombardia per parlare dei dati sul bracconaggio in Lombardia. A cura di Cecilia Di Lieto.

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    Il trumpismo fa paura. L'autoritarismo trumpista ancora di più. A Pubblica la prima sintesi degli incontri alla Casa della Cultura di Milano per il ciclo "Autoritarismi in democrazia" (Osservatorio autoritarismo, Università Statale Milano, Libertà e Giustizia, Castelvecchi) di cui Radio Popolare è media partner (qui il programma https://www.libertaegiustizia.it/2025/11/21/autoritarismi-in-democrazia/). Ospite del primo incontro (22 novembre 2025) la filosofa Chiara Bottici, della New School for Social Research di New York. «Il clima negli Stati Uniti – ha raccontato la filosofa - è estremamente allarmante, estremamente preoccupante. Quando parlo di neofascismo non è un'esagerazione, non è un modo per dire "questi sono cattivi, Trump è autoritario"».

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