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Finisce Expo, nasce il partito di Expo

Tra poco del parco tematico che ha messo in fila 21 milioni di persone non resterà quasi più nulla. L’eredità di Expo sono tante eredità: tante quante le persone che vi hanno partecipato e tanti quanti gli interessi che ha mobilitato.

Una Expo partita con un progetto e finita in un altro, impantanata per tre anni nella gestione Moratti-Formigoni-Berlusconi, sbloccata dalla nomina del commissario unico, Giuseppe Sala, l’uomo simbolo dell’Esposizione. Con la città ospitante, Milano, sotto al faro che Expo ha tenuto acceso per tutto il 2015 e che ora non dovrà spegnersi.

Tra le eredità di Expo c’è quella per le casse pubbliche: alla fine ci sarà un segno più o meno? 1.3 miliardi per costruire il sito, 120 milioni per acquistare i terreni, 800 milioni per la gestione dei sei mesi, altri 90 per i servizi extra di Milano. Per il pareggio dei soli 800 milioni di gestione bisognava vendere 24 milioni di ticket a una media di 22 euro a biglietto. Non è andata così, tra sconti, ingressi a 5 euro e meno ticket venduti.

L’eredità del lavoro: i 200 mila posti promessi non ci sono stati, per i 10/12 mila lavoratori del sito espositivo si apriranno le porte delle agenzie interinali, per i 10 mila volontari una voce in più nel curriculum. Per gli oltre 700 tenuti fuori dal filtro di polizia del “daspo Expo”, l’ebrezza di aver provato sulla propria pelle una pratica antidemocratica nell’indifferenza generale.

Per le aziende è stata l’opportunità di avere a Milano per sei mesi clienti che altrimenti avrebbero dovuto cercare in giro per il mondo.

Per Milano è stata una vetrina. Qualcuno si è lamentato rispetto alle aspettative, commercianti e taxisti; altri sono contenti, albergatori e ricezione. La comunicazione Expottimista aveva promesso “l’evento che porterà l’Italia fuori dalla crisi”.

Da un punto di vista culturale Expo di suo ha aggiunto poco o nulla a quanto già Milano offre, se non la visibilità del faro puntato. E’ il bello di questa città l’essere culturalmente vivace e sarà così anche dopo Expo.

Con Expo si sono realizzate infrastrutture: dalle colate di cemento delle inutili e costosissime Brebemi e Teem, alle utili (e anche’esse costose per il bilancio comunale) metropolitane, la linea cinque e l’avvio dei lavori della linea quattro.

La corruzione è stata scoperchiata dai magistrati, fino a quando hanno indagato: la capitale morale d’Italia è anche quella città dove il presidente del consiglio ha ringraziato pubblicamente il capo della Procura per aver congelato le indagini dimostrando sensibilità istituzionale.

Quanto al tema di Expo, nutrire il pianeta energia per la vita, chi si aspettava più contenuti è rimasto deluso; ci aveva legittimamente sperato, ma le Esposizioni Universali sono un altra cosa, hanno regole che Milano non è riuscita a cambiare. Sono innanzitutto business, relazioni e divertimento. Non che non ci sia stato nulla sul tema, Cascina Triulza ha offerto spunti e dibattito, ma hanno interessato perlopiù i già interessati.

Tra le eredità di Expo c’è anche quella politica. Lo aveva anticipato Raffaele Cantone qualche giorno fa: il modello Expo non è replicabile se non c’è sinergia tra istituzioni. Al suo fianco c’era il prefetto di Milano Francesco Tronca, che in queste ore è in viaggio verso Roma dove farà il commissario al Giubileo. Per l’altro commissario, Giuseppe Sala, si è già aperta la porta di Cassa Depositi e Prestiti, l’ente che finanzierà il post Expo, e probabilmente sarà il candidato di Renzi a Milano.

Sembra quasi che finita Expo, sia nato il partito di Expo. E che piaccia o meno, il partito di Expo sarà l’entità con cui dovrà confrontarsi chi non è di stretta osservanza renziana, a partire dalle prossime elezioni amministrative a Milano e Roma.

  • Autore articolo
    Roberto Maggioni
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