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Lobby senza regole

Quarant’anni, oltre 50 proposte di legge (18 di questi nell’ultimo anno), nessun risultato. Questo il triste bilancio della normativa italiana per regolamentare i rapporti tra gruppi d’interesse e decisori politici. L’effetto è un immenso vuoto legislativo, complice anche l’assenza di una legge sul conflitto interessi, che, sostanzialmente, confina il lavoro del lobbista in un territorio semiclandestino. Non ci sono regole d’ingaggio, non ci sono “carte d’identità” dei portatori d’interesse. Così chi – legittimamente – vuole porre all’attenzione dei palazzi della politica alcuni argomenti, deve necessariamente fare leva su amicizie, rapporti personali e, in qualche caso, sotterfugi poco puliti.

L’ultimo tentativo di colmare questo vuoto è una proposta di legge che ha come primo firmatario l’ex parlamentare del Movimento 5 stelle, oggi gruppo Misto, Luis Orellana. Da due anni attende di arrivare in aula. “Ora è ferma alla Commissione affari istituzionali al Senato, sono stati depositate almeno 350 proposte di emendamento. Siamo in attesa che si passi alla fase di discussione, sempre in Commissione”, spiega a Radio Popolare Federico Anghelè, coordinatore di Riparte il futuro, la campagna anticorruzione promossa da Libera. Tra i dati significativi che avrebbe questa proposta di legge, nel caso di approvazione, è l’introduzione di un Registro dei lobbisti. “I riferimenti principali sono gli stessi di altre leggi sulle lobby approvate in altri Paesi – aggiunge Anghelè -. Sarebbe uno strumento fondamentale”.

I tempi per uscire dal pantano, però, sono ancora molto lunghi. Non c’è un orizzonte preciso. E le contrarietà che rallentano sono soprattutto da parte della politica, più che da quella dei lobbisti. Per loro infatti legge potrebbe essere il viatico per uscire dalla “clandestinità” e per sfidarsi tra loro ad armi pari. Altrimenti per le lobby più grandi sarà sempre più facile.

Al momento la proposta di legge è sproporzionata contro i lobbisti, secondo gli osservatori di Riparte il futuro. Infatti le pene più significative sono contro di loro: dai 20 mila fino ai 200 mila euro, più la cancellazione dal Registro. Per i politici? Nulla. Sarebbero sanzionati tutti gli incontri “fuori programma” in cui si finisce a parlare di affari. Ma a stabilire la liceità o meno di un incontro sarebbe un Comitato di Garanzia, formato da politici, che risponde solo al segretario generale della Presidenza del Consiglio. Il rischio, quindi, è che controllato e controllore coincidano.

Rispetto ad altre legislature, comunque si è fatto un enorme passo avanti. Il 26 aprile alla Camera la Giunta per il Regolamento della Camera dei Deputati ha introdotto un Regolamento sperimentale. Positivo certamente, ma non abbastanza. Le criticità sollevate da Riparte il futuro sono le stesse della proposta di legge. Servirebbe prima di tutto un organismo garante terzo (come potrebbe essere l‘ANAC di Raffaele Cantone); servirebbe una proporzionalità delle sanzioni anche sui politici; non prevede che i lobbisti presentino le voci di spesa per le loro attività.

La strada per la trasparenza è ancora complicata.

Ascolta l’intervista a Federico Anghelè a cura di Lorenza Ghidini e Gianmarco Bachi

Federico Anghelè

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    Lorenzo Bagnoli
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    Società Civile per il No. È nato il comitato, promosso da vari esponenti della società civile, da sindacati, associazioni e realtà democratiche, che sostiene le ragioni del No al referendum costituzionale sulla riforma della Giustizia del Guardasigilli Carlo Nordio. Presieduto da Giovanni Bachelet, il comitato ha nel direttivo nomi importanti come il segretario della Cgil Maurizio Landini, la presidente di Libertà e Giustizia Daniela Padoan e l’ex ministra Rosy Bindi. I principali punti del comitato vertono sul fatto che una magistratura autonoma, indipendente, che non guarda in faccia a nessuno sia una cosa che conviene ai cittadini. Il prossimo 10 gennaio a Roma si terrà la prima assemblea generale, per la partenza della campagna referendaria, che vedrà la nascita di comitati territoriali in tutta Italia per lanciare una campagna informativa sulle ragioni del No. “Riteniamo che sia una battaglia per evitare che venga minato un principio fondamentale della nostra democrazia”, ha detto Rosy Bindi, che fa parte del direttivo del comitato, nella nostra trasmissione Radio Sveglia. L'intervista di Alessandro Braga.

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