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“Eventi rari, assistenza adeguata”

Dopo i decessi di cinque donne incinte in pochi giorni, Radio Popolare ha intervistato Serena Donati, la responsabile del Sistema di sorveglianza mortalità materna, coordinato dall’Istituto superiore di sanità e finanziato dal ministero della Salute.

Quante sono le morti di donne legate a gravidanze e parti in Italia?

“La copertura del nostro sistema di sorveglianza al momento riguarda il 73 per cento del totale dei nati in Italia, ma è altamente rappresentativa del Paese, perché le regioni coinvolte sono ben distribuite tra Nord, Centro e Sud. Il dato che noi abbiamo è di dieci donne morte ogni centomila bambini che nascono vivi. Lo stesso dato è rilevato nel Regno Unito e in Francia. Quindi ci collochiamo in una posizione avvantaggiata rispetto ai Paesi socialmente avanzati, dove il dato è di venti (o sotto i venti) decessi ogni centomila bambini nati vivi”.

“Questa è la prima informazione per le donne in gravidanza: possono e devono stare tranquille, perché i casi che si sono concentrati in questi giorni non sono un indicatore del fatto che nel nostro Paese ci sia un’assistenza inappropriata e che le mamme corrano un rischio quando vanno a partorire nei nostri ospedali. Questi casi sono legati al fatto che gli eventi rari, come la mortalità materna, a volte si concentrano in maniera capricciosa, con una distribuzione casuale, in un intervallo di tempo molto stretto. Adesso abbiamo avuto cinque casi in una settimana poi magari per qualche mese non ne avremo neanche uno”.

Di quante morti parliamo ogni anno in Italia?

“Il dato di dieci donne morte ogni centomila bambini che nascono vivi riguarda gli anni compresi tra il 2006 e il 2012, in sei regioni che coprono il 49 per cento dei nati. Quindi, se consideriamo che in Italia nascono poco più di cinquecentomila bambini ogni anno, la mortalità materna riguarda circa cinquanta donne l’anno in tutto il Paese”.

Quali sono le cause di questi decessi?

“La prima causa di mortalità materna è l’emorragia ostetrica, in particolare l’emorragia del post partum, che riguarda la metà dei decessi e che è anche la prima causa di morbosità materna, cioè di gravi complicazioni che non portano al decesso. Al secondo posto, i disordini ipertensivi della gravidanza, al terzo le tromboembolie. Queste sono le principali cause delle complicazioni ostetriche dirette. Poi invece ci sono le morti indirette che sono legate alle complicazioni di patologie preesistenti, per esempio diabete e pressione alta. In questo caso le cause sono le malattie cardiovascolari, le malattie cerebrovascolari, i tumori. E nelle morti tardive abbiamo anche una discreta proporzione di suicidi“.

Esiste anche una statistica sulla distribuizione geografica della mortalità materna? C’è differenza tra Nord e Sud?

“Ahimé sì, come c’è su tutti gli indicatori di salute. Se il dato nazionale è di dieci madri che muoiono su centomila nati, quando andiamo in Toscana i decessi sono 4,6 su centomila nati, in Campania sono 13. Un simile trend vale anche per la mortalità neonatale. Queste sono le disuguaglianze che rendono la mortalità materna, pur essendo un evento raro, una priorità di salute pubblica. Perché è un evento drammatico e perché presenta uno spazio di miglioramento su cui si può lavorare”.

Il ministro della Salute Lorenzin, quando ha annunciato l’invio degli ispettori negli ospedali dove sono morte le donne in questi giorni, si è raccomandata che le donne vadano a partorire in strutture avanzate, dotate di rianimazione per i neonati e per le madri. Questa però non è una possibilità a portata di tutte, perché i presidi ospedalieri con queste strutture sono pochi…

“L’accordo Stato-Regioni che il ministro ha sottoscritto e che le Regioni hanno firmato nel 2010 dice che i presìdi sanitari devono avere 24 ore su 24 un neonatologo che affianchi il ginecologo, l’ostetrica e l’anestesista. Questi sono i requisiti di sicurezza che tutte le strutture, anche quelle piccole, devono garantire per poter fronteggiare un’emergenza ostetrica in maniera appropriata. La terapia intensiva, al contrario, non è prevista in tutte le strutture, proprio perché è un presidio di emergenza che deve essere centralizzato perché ha un bacino di utenza più ampio. I medici vi indirizzano le donne con una gravidanza a rischio, in modo che possano essere assistite anche in caso di complicazioni. L’importante è che le donne vengano indirizzate, come suggerisce la ministra, alle strutture più appropriate rispetto alla loro gravidanza, che il più delle volte è fisiologica, non patologica”.

Esistono dei criteri di prudenza che si possono consigliare?

“Sì, il primo messaggio è che le donne devono essere tranquille perché vivono in un Paese in cui l’assistenza al percorso nascita è adeguata e dove gli esiti drammatici sono contenuti. Purtroppo questi ultimi casi hanno avuto un impatto mediatico che immagino molto ansiogeno sulle donne e sulle famiglie che si preparano ad avere un bambino. La scelta del punto nascita è un aspetto importante, ma questo viene comunemente garantito attraverso l’assistenza. Nel nostro Paese tutte le donne vengono seguite in gravidanza. Le donne possono scegliere con consapevolezza in quale struttura far nascere il proprio figlio: in base alla natura più o meno patologica della propria gravidanza, ma anche in base alle preferenze della donna, alla disponibilità del rooming in, alla promozione dell’allattamento materno, alla presenza del compagno in sala parto, alla disponibilità dell’epidurale”.

  • Autore articolo
    Diana Santini
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    Un percorso attraverso la stratificazione sociale italiana, un viaggio nell’ascensore sociale del Belpaese, spesso rotto da anni e in attesa di manutenzione, che parte dal sottoscala con l’ambizione di arrivare al roof top con l’obiettivo dichiarato di trovare scorciatoie per entrare nelle stanze del lusso più sfrenato e dell’abbienza. Ma anche uno spazio per arricchirsi culturalmente e sfondare le porte dei salotti buoni, per sdraiarci sui loro divani e mettere i piedi sul tavolo. A cura di Alessandro Diegoli e Disma Pestalozza

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    Stuart Murdoch: "Il mio primo romanzo non è una biografia, ma racconta la mia storia e la storia della mia malattia"

    Il leader dei Belle & Sebastian racconta "L'impero di nessuno", il suo libro d'esordio, ai microfoni di Volume. Un libro che lui stesso definisce di autofiction: "La maggior parte delle cose che accadono a Stephen, il protagonista, sono successe anche a me". 10 anni fa, Murdoch aveva scritto una canzone con il medesimo titolo: "Il romanzo tocca gli stessi temi: Stephen ha un'amica del cuore, Carrie, entrambi hanno la stessa malattia e si sostengono e ispirano a vicenda". La malattia è l'encefalomielite mialgica: "Mentre scrivevo immaginavo il mio pubblico, e il mio pubblico era il gruppo di supporto per l’encefalomielite che frequentavo negli anni Novanta. Immaginavo di scrivere per loro, e questo mi ha aiutato a trovare il tono giusto". Ascolta l'intervista di Niccolò Vecchia a Stuart Murdoch.

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